Comunque vada, il trumpismo è destinato a restare a lungo

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Magari Donald Trump perderà le elezioni presidenziali contro Kamala Harris. Magari il candidato repubblicano che ha conquistato il cervello, il cuore e la pancia del Grand Old Party non riuscirà a battere la vicepresidente degli Stati Uniti, possibile prima donna al vertice della Casa Bianca. Ma il trumpismo è destinato a restare a lungo nella società Usa, che è divisa e polarizzata, come bene analizza Mattia Diletti nel suo saggio appena pubblicato da Treccani: “Divisi. Politica, società e conflitti nell’America del XXI secolo”.

Una polarizzazione che non ha inventato Trump, semmai l’ha strumentalizzata, alimentata e sfruttata a proprio piacimento: “Oggi vi sono diversi conflitti che appaiono irriducibili: le elezioni presidenziali sono la manifestazione più teatrale e mediatica di questa polarizzazione, ma il conflitto attraversa ogni giorno il Congresso, i Congressi dei cinquanta Stati, le City Hall delle città americane, le relazioni fra il governo federale e quelli statali”, scrive Diletti. E poi i conflitti “su genere, possesso delle armi, politiche ambientali, fiscalità, politiche sociali, politiche contro la discriminazione razziale e via proseguendo. Conflitti fra istituzioni e conflitti sulle policy, conflitti fra identità e conflitti fra interessi. Anche gli interessi privati e le lobby che interagiscono con eletti e governo, infatti, acuiscono questa dinamica. Sono al tempo stesso legittima rappresentazione degli interessi economici, sociali e religiosi di una società plurale, ma anche motore di ulteriore conflittualità e diseguaglianza”.

Sono gli Stati Uniti di oggi, e non si può capire la società a stelle e strisce, dunque anche la società che va al voto, senza comprendere quali sono le linee di frattura che la attraversano. Anche i social media hanno contribuito a polarizzare ulteriormente il dibattito pubblico. Si pensi all’uso fatto in questi anni di Twitter, oggi X, da parte di Trump. I social media sono uno strumento di contrazione del globo e rendono immediata la condivisione di informazioni. Ma possono anche essere usati per manipolare l’opinione pubblica. Trump ha usato Twitter come un prolungamento della sua voce, un’estensione della propria campagna elettorale permanente, contribuendo ad allargare la distanza fra le fazioni politiche in campo e la polarizzazione del già fratturato dibattito pubblico statunitense attraverso la retorica del complotto, il sentimento antiscientifico e la insult politics. Ha potuto far fruttare politicamente un radicato senso di sfiducia nei confronti nelle istituzioni e dei media tradizionali, in competizione con i social media per la conquista dell’attenzione di elettori e lettori, conducendo un deliberato attacco verso giornali, radio e tv a suo dire ostili.

Non solo: l’ex presidente degli Stati Uniti si è scagliato anche contro gli stessi compagni di partito e gli alleati, in una vorticosa ricerca del nemico di turno da additare al pubblico ludibrio. La versione contemporanea e aggiornata della gogna, finalizzata all’ottenimento del consenso politico più immediato. Ma sarebbe un errore ridurre il consenso di Trump alla sua capacità social-mediatica, all’uso performativo di Twitter, oggi X. In questo modo non si capirebbe come e perché il candidato presidente dei Repubblicani è arrivato a questo punto. Sarebbe troppo semplicistico sminuire il successo del tycoon americano. Le elezioni presidenziali non sono vittima di camere dell’eco. Non si mobilita così tanta gente solo per un hashtag su X. Come ha spiegato una volta Giovanni Orsina, “è probabile che i forgotten ones di Trump protestino anche contro un potere del quale sentono il peso, e che però non si capisce più bene dove sia né quale funzione abbia. Le classi dirigenti hanno negato che esistessero le classi dirigenti. Hanno rumorosamente sposato, a partire dagli anni Sessanta, l’idea che siamo tutti uguali. Hanno finto di democratizzarsi, hanno delegittimato l’idea stessa di classe dirigente, ma nel frattempo il potere, le gerarchie e i privilegi non sono venuti meno. Risultato: ora la ‘gente’ è furibonda”. E come voterà alle elezioni presidenziali di domani? (Public Policy)

@davidallegranti