di Lorenzo Castellani
ROMA (Public Policy) – Le discussioni sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità e sulla legge di Bilancio hanno portato in superficie i precari equilibri del sistema politico italiano.
In primo luogo, l’opposizione di centrodestra è riuscita, opponendosi alla riforma del Mes, a spaccare la maggioranza di Governo. Di fronte alla difesa dei progetti europei del premier Giuseppe Conte e del Partito democratico, il Movimento 5 stelle, guidato da Luigi Di Maio, ha messo in discussione la ratifica della riforma giocando di sponda con il vecchio alleato della Lega. Il leader pentastellato è stato costretto a frenare sul Mes proprio per evitare di perdere l’ultimo residuo d’identità, anti-establishment ed euroscettica, del Movimento. La vicenda ha mostrato quanto il tentativo di “istituzionalizzare” i 5 stelle si stia rivelando difficile per il centrosinistra e quante fragilità si annidino all’interno della maggioranza. La conversione “europeista” del Movimento è stata più di facciata, cioè finalizzata al mantenimento del potere e a scongiurare le elezioni, che reale. La scommessa del Pd, da questo punto di vista, sta fallendo. Così come al momento si è interrotto il dialogo per un’alleanza strutturale sui territori, che faceva gola a Zingaretti. Interessante notare anche come le assonanze tra Lega e Movimento 5 stelle, rispetto all’atteggiamento da tenere nei confronti delle istituzioni di Bruxelles, non siano del tutto evaporate.
Al tempo stesso, come in un gioco di specchi, il ruolo sempre più istituzionale e apartitico di Giuseppe Conte ha portato il presidente del Consiglio a rinsaldare sempre più la propria alleanza con i democratici. Non è un caso che il segretario del Pd sia stato il più forte difensore di Palazzo Chigi nella disputa sul Mes. Conte sembra oramai più un presidente d’area democratica che un’espressione del Movimento 5 stelle.
Sul fronte del centrodestra, la discussione sul Mes fa emergere due elementi: il primo è che l’alleanza sembra oramai solida e compatta, con Forza Italia allineata anche sul piano delle politiche europee a Lega e Fratelli d’Italia; il secondo è l’ambiguità permanente mantenuta dalla Lega proprio rispetto all’Unione europea. Infatti, se da un lato gli ultimi mesi avevano evidenziato una retorica più moderata da parte di Salvini sul fronte europeo, tanto che si era affacciata l’ipotesi di un’alleanza o addirittura un ingresso nel Ppe, con l’opposizione al Mes la Lega è tornata su posizioni marcatamente euroscettiche. E’ comunque probabile che il leader leghista non scioglierà quest’ambiguità almeno fino a quando non si troverà al Governo del Paese. Lo stesso partito, infatti, si regge sul compromesso tra due anime: quella governativa che fa capo a Giancarlo Giorgetti e ai governatori delle Regioni del nord e quella più radicale dei parlamentari d’ultima generazione. Un altro elemento da registrare è la crescita di Fratelli d’Italia, oramai stabilmente sopra il 10% nei sondaggi. La coerenza di Giorgia Meloni, sempre all’opposizione negli ultimi anni, sta incontrando il favore dell’elettorato. Al sud, in particolare, dove la Lega fatica a sfondare la soglia del 30% Fratelli d’Italia sembra avere ancora margini di crescita, anche perché c’è l’elettorato in uscita dal Movimento 5 stelle.
La manovra, con spazi molto ristretti sul piano del deficit, aggiunge fragilità alla compagine governativa. Le tensioni dei partiti si moltiplicano intorno a micro-politiche e tasse da aumentare. Difficile, in queste condizioni, realizzare programmi robusti per far ripartire la crescita. Sul piano delle politiche pubbliche, le continuità con il Conte 1 prevalgono sulle differenze, con la distinzione che il sostegno popolare per il Conte 2 appare molto più flebile. I sondaggi registrano queste difficoltà, con un consenso in diminuzione per tutte le forze della maggioranza.
Da ultimo, l’indebolimento dei partiti di Governo pone in discussione l’attuale legge elettorale. Il Rosatellum, infatti, può andare bene per il centrodestra, ma non per i partiti di Governo che, di conseguenza, cercheranno di modificare le regole del gioco. Se la legge restasse quella attuale, infatti, la coalizione guidata da Salvini vincerebbe la quasi totalità dei collegi uninominali (1/3 dei seggi) e avrebbe quasi certamente la maggioranza assicurata. E’ dunque molto probabile che la legge sia modificata in senso proporzionale. I primi mesi del 2020 impegneranno le forze politiche su questo fronte. La discussione sulla legge elettorale è un altro campanello d’allarme sulla vita del Governo, poiché una conclusione veloce sulle nuove regole potrebbe incentivare qualche forza politica della maggioranza a chiudere l’esperienza del Conte 2. E’ vero che razionalmente nessuna delle forze di Governo è incentivata ad andare al voto, poiché tutti hanno più da perdere che guadagnare, ma con una maggioranza così litigiosa l’incidente non è da escludere. A quel punto, meglio avere una legge elettorale che permetta di limitare i danni. (Public Policy)