Il Pd schleiniano e la naturale evoluzione di Bonaccini

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – A quasi tre anni dalle primarie del febbraio 2023, quelle che regalarono la vittoria a Elly Schlein, lo sconfitto Stefano Bonaccini è pronto per entrare in maggioranza. “Io penso che ci sarebbero tutte le condizioni” per entrare nella maggioranza del Pd “e lavorare ancora più uniti” ha detto il presidente del Pd ospite di RaiTre, a pochi giorni dall’assemblea nazionale del Partito democratico, in programma per domenica 14 dicembre. Ci sarebbero le condizioni, ribadisce, “ma per un motivo, dal mio punto di vista, per provare a incidere di più su alcune questioni che il Pd deve affrontare, di più e meglio” come “sicurezza e lavoro autonomo”.

Per Bonaccini è dunque il compimento di un percorso iniziato subito dopo la sconfitta. In questi anni infatti l’ex presidente della Regione Emilia Romagna ha mantenuto una postura sufficientemente consociativa nei confronti della segreteria nazionale. Appena pochi mesi fa, a settembre, si era consumata la rottura con un pezzo dei riformisti, da Lorenzo Guerini a Graziano Delrio, a Giorgio Gori, a Pina Picierno, da tempo peraltro decisi a mettersi in proprio. Messo alle strette, dopo settimane di critiche, Bonaccini aveva contrattaccato, con toni molto puntuti, parlando di un “riformismo di popolo e di un riformismo di Palazzo”, evidentemente volendo rappresentare il primo e non il secondo. Aveva spiegato che alla gente interessano altre questioni (dalle pensioni alla guerra), non le vicende “politiciste” di cui si stava occupando la minoranza riformista.

Bonaccini si era anche concesso qualche battuta nei confronti dei suoi predecessori, aveva detto detto che il “Pd quando aveva guide riformiste ha preso una volta il 18 per cento, il 19 l’altra”, per la gioia di Matteo Renzi ma anche Enrico Letta. “Molti di quelli che oggi sono critici erano protagonisti di quella stagione”, aveva aggiunto Bonaccini prendendosela pure con chi oggi critica l’alleanza con il M5s: “Hanno fatto il Governo giallorosso con i 5 stelle”.

Alla fine insomma potrebbe aver avuto ragione, con diversi anni di anticipo, proprio l’ex sindaco di Bergamo, oggi europarlamentare, Giorgio Gori, che in “Quale Pd” (Laterza), aveva descritto così la natura dell’offerta politica rappresentata da Stefano Bonaccini durante le primarie: “L’idea che mi sono fatto – lo dico sapendo che non avrei saputo fare meglio – è che abbia pensato di poter vincere le primarie mettendo insieme tanti pezzi; che però, proprio perché erano tanti e diversi tra loro, non era facile condensare intorno a una posizione sufficientemente netta e riconoscibile. Se tieni dentro Brando Benifei e Vincenzo De Luca, il sottoscritto e Michele Emiliano, e in più vuoi evitare di scoprirti a sinistra, il rischio è che la proposta manchi di incisività. A tratti Stefano è parso un po’ timido, desideroso di smussare, preoccupato di non scontentare più che di convincere. Durante la competizione ho pensato che facesse bene; col senno di poi credo invece che posizioni più nette avrebbero più facilmente innescato la passione e la mobilitazione di cui ci sarebbe stato bisogno, e che invece sono mancate”.

La fine dunque sta nell’inizio e per Bonaccini l’ingresso nella maggioranza con Elly Schlein sarebbe la naturale evoluzione. (Public Policy)

@davidallegranti