L’Ue deve impedire alla Cina di “fare il portoghese”. Il caso EDP

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di Marco Valerio Lo Prete

ROMA (Public Policy) – Nella piccola economia portoghese si sta giocando una partita decisiva per capire gli equilibri geopolitici, presenti e futuri, fra Unione europea e Cina.

Energias de Portugal (EDP; nella foto: la sede centrale) è la più grande società privata del Paese lusitano, una utility dell’energia elettrica che fino al 2011 era partecipata dallo Stato. In quell’anno di profonda crisi, gli investitori di China Three Gorges (CTC) – di proprietà dello Stato cinese – acquistarono il 21,3% del gruppo di Lisbona per 2,7 miliardi di euro, consentendone la privatizzazione e promettendo allo stesso tempo che sarebbero rimasti un azionista di minoranza. Pochi mesi fa però CTC ha rilanciato, offrendo altri 9 miliardi di euro per acquistare la maggioranza di EDP. Una proposta considerata insufficiente da analisti vari e dal management di EDP che quindi è a caccia di altre offerte, magari da parte di concorrenti europei. Tuttavia è spuntato un altro azionista di EDP – ha scritto il Financial Times – che si oppone alla ricerca di offerte migliorative: si chiama CNIC, ha il 5% delle azioni del gruppo lusitano, ed è una società registrata a Hong Kong che ha alle proprie spalle la SAFE, cioè ancora una volta lo Stato cinese, come ha rivelato il giornale della City. In breve tempo, dunque, la EDP – che nel 2011 fu privatizzata su pressione della Troika (composta da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) – potrebbe tornare a essere un’azienda di Stato, stavolta cinese.

Al Governo di Lisbona piacendo; secondo la Reuters, infatti, l’Esecutivo è ammaliato dalla promessa cinese di non voler spezzettare la società e di voler mantenere il quartier generale nel Paese. Inoltre, in Portogallo, gli operatori economici di Pechino sono ormai di casa: negli ultimi anni la Fosun International ha rilevato il 27% della prima banca portoghese (Bank Millenium BCP), controlla anche la principale società del comparto assicurativo nazionale (Fidelidade) così come il più importante operatore di cliniche private (Luz Saúde). Abbastanza per fare del Portogallo, come ha scritto il quotidiano finanziario tedesco Handeslblatt, la “porta di ingresso” dell’ex Impero celeste in Europa.

Mentre la Cina tenta di mettere le mani sulla generazione e sulla distribuzione energetica di un intero Paese europeo, considerato che la State Grid Corporation of China – leader mondiale nella produzione e nella distribuzione dell’energia elettrica – detiene anche il 25% della società della rete energetica portoghese (Redes Energéticas Nacionais), l’unico campanello d’allarme finora è suonato oltreoceano. EDP, infatti, ha una controllata, EDP Renováveis, il quarto principale produttore di energia eolica al mondo, che possiede impianti negli Stati Uniti; un passaggio di proprietà del gruppo ai cinesi sarebbe notato a Washington, specialmente con l’attuale posizione dell’Amministrazione Trump.

D’altronde, per tutto il Vecchio continente, a parlare sono i dati complessivi sugli investimenti diretti esteri cinesi. Nel 2017, con 30 miliardi di euro affluiti dalla Cina per acquistare o fondare aziende nell’Ue, le somme investite hanno registrato una flessione rispetto all’anno precedente, dovuta soprattutto ai nuovi controlli sulla valuta in uscita imposti da Pechino. Tuttavia l’afflusso di capitali del Dragone nella Ue rimane comunque più sostenuto che in altre economie avanzate. Nel 2008 gli investimenti diretti esteri cinesi in Europa ammontavano a 700 milioni di euro; otto anni dopo, nel 2016, sono arrivati a 35 miliardi di euro. La svolta si registra nel 2010, in una delle fasi più critiche per l’economia europea. Da quel momento, gli investimenti diretti esteri cinesi annui hanno superato di tre volte gli investimenti dell’Unione europea verso la Cina.

È proprio negli anni della crisi, come ha scritto di recente Repubblica, che i capitali cinesi sono diventati degli habitué nel campo dell’energia: “Tramite State Grid of China, la più grande utility del mondo avendo in gestione il 90% della rete elettrica cinese, hanno vinto la gara per la vendita di Edmie, l’operatore di Atene per la distribuzione di elettricità (battendo la concorrenza dell’italiana Terna). Nel nostro Paese, sempre con State Grid, hanno rilevato il 30% di Cdp Reti, la società del Tesoro che controlla il pacchetto di maggioranza sia di Snam sia della stessa Terna, in pratica le reti del gas e dell’elettricità nazionali. Infine, il Governo di Pechino si è detto disponibile a partecipare, anche finanziandolo, il programma di rilancio nucleare varato dal governo conservatore in Gran Bretagna”.

Tra le principali operazioni industriali made in China degli ultimi anni, si ricordano poi: l’acquisto del gruppo di logistica Logicor da parte del fondo sovrano China Investment Corporation (CIC) per 14 miliardi di dollari statunitensi; l’acquisizione della software house finlandese Supercell da parte di Tencent per 8,6 miliardi di dollari o del gioiellino tedesco dei robot industriali KUKA da parte di Midea per 4,7 miliardi; infine l’ingresso di ChemChina in Pirelli come primo socio grazie all’esborso di 7,7 miliardi di dollari. Senza contare l’operazione monstre messa a segno da ChemChina che, con oltre 40 miliardi di euro, ha rilevato Syngenta, colosso svizzero dei semi e dei prodotti chimici per l’agricoltura.

Nel frattempo, gli investimenti diretti esteri europei in Cina non decollano, anzi in alcuni campi sono stagnanti o addirittura diminuiscono. L’apertura dei mercati, insomma, appare a senso unico, in ragione di ostacoli formali e informali che le aziende europee incontrano nel Paese asiatico. Un disequilibrio che si va a sommare a quello della bilancia commerciale: l’Ue importa beni dalla Cina per 375 miliardi di euro l’anno e ne esporta per 198 miliardi.

Dal ventesimo summit bilaterale fra Unione europea e Cina che si è svolto il 16 luglio in contemporanea (e secondo qualcuno in contrapposizione) con il bilaterale fra Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin, è emerso l’impegno di Bruxelles e Pechino a “evitare il caos di una guerra commerciale” e soprattutto a “riscrivere insieme le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio”Vaste programme, ma condivisibile. A condizione che gli europei basino il negoziato con i cinesi sui dati registrati negli ultimi anni e sulla reale situazione sul campo, altrimenti perderanno terreno nella competizione economica e rischieranno soltanto di prestare il fianco a un Governo autoritario come quello di Pechino, che è alla spasmodica ricerca di legittimazione interna e che certo non disdegnerebbe un indebolimento dell’alleanza atlantica. (Public Policy)

@marcovaleriolp