di Pietro Monsurrò
ROMA (Public Policy) – Il pacifismo, diceva George Orwell nel 1942 [1], è una dottrina “oggettivamente pro-fascista”, perché favorisce i regimi autoritari, come la Russia, e indebolisce le democrazie. Ma la giustizia non serve a nulla senza la forza, e sono sempre i cannoni e non le parole a decidere chi vince.
Non sappiamo cosa voglia Trump, né possiamo interpretare i suoi imperscrutabilmente sofisticati sistemi di specchi e leve con cui gioca a scacchi a quattro dimensioni contro il buonsenso e il buongusto. Ma sappiamo dove i paesi europei hanno sbagliato per trent’anni, dove hanno continuato a sbagliare negli ultimi tre, e dove continueranno a sbagliare se non ci sarà un cambiamento di rotta. Ed è questo ciò che possiamo fare: cambiare rotta, radicalmente, sperando che non sia troppo tardi.
I problemi si possono dividere in tre categorie: militari, finanziari, e politici. Nessuno dei tre può essere risolto in pochi mesi, e sarebbe stato meglio iniziare ad affrontarli non dico sin dai tempi della guerra in Georgia nel 2008, ma perlomeno dall’inizio della seconda invasione dell’Ucraina nel 2022. Ma pazienza: il passato è passato, e serve solo a ricordarci che siamo governati da “buoni a nulla”, che non sono necessariamente migliori dei “capaci di tutto”.
Problemi militari
L’industria militare europea è ancora inadeguata per i bisogni propri e ucraini. Sono anni che si dice “entro un anno si arriverà a…” e poi non ci si arriva: un milione di munizioni da 155mm [2-3], 700 missili intercettori Aster-30 [4]: chi li ha visti? Munizioni da artiglieria, missili assortiti, radar, aerei supersonici di quarta generazione, veicoli corazzati… tutto è ancora insufficiente. Quasi metà [5] delle necessità militari ucraine vengono ancora dagli USA, e il rimanente viene per metà autoprodotto in Ucraina e per metà prodotto in Europa. E il totale è insufficiente a montare una vera controffensiva, e serve al momento solo a consumare per attrito le forze russe, sperando che non muoiano troppi ucraini nel frattempo, altrimenti una controffensiva sarà impossibile anche se arriveranno tutti i mezzi necessari.
L’Europa ha poi un deficit enorme nei sistemi più complessi: radar a lunga portata, difese aeree a lunga gittata, jet supersonici, missili balistici e cruise per l’interdizione. Pochi prototipi costruiti su scala artigianale non sono adeguati per una situazione di guerra. E ha deficit di scorte: non ci sono abbastanza munizioni di artiglieria, veicoli corazzati, etc. Per quanto molto facilmente sia possibile produrre più della Russia, finora non è stato fatto, e anzi, stiamo ancora indietro. L’Europa (con il Regno Unito) fa circa dieci volte il Pil russo, ma ancora non produce altrettante munizioni di artiglieria, per quanto siano qualitativamente superiori per gittata e accuratezza.
Abbiamo quindi problemi di breve e di lungo termine: nel breve abbiamo bisogno delle scorte USA, nel lungo di un’industria militare qualitativamente e quantitativamente più vasta. Quindi occorre investire in primis nell’acquisto di almeno un centinaio di miliardi di armi d’importazione, e poi investire almeno altrettanto in capacità produttiva domestica. Andava fatto tutto a partire dal 2022, se non prima, ma pazienza: una classe dirigente decente uno non se la può dare, come il coraggio di Don Abbondio.
Con Biden forse sarebbe stato più facile comprare (indicativamente) 1,000 Bradley, 1,000 M777, Paladin o M198, 1,000 ATACMS, 1,000 PAC-3, 10 Patriot, 100 F-16, 100 HiMARS, 1,000 HARM. Ora la difficoltà è riuscirci con Trump, anche se probabilmente rimane aperto alla prospettiva di guadagnare decine di miliardi di dollari e rinnovare le scorte Usa di armi in un contesto di competizione geopolitica ben più seria e difficoltosa con la Cina. A questo vanno aggiunti gli asset ISR (intelligence, surveillance, reconnaissance) e i sistemi satellitari di comunicazione come Starlink, che in Europa scarseggiano o sono assenti.
Poi certo, si possono usare armi europee o quasi: i NASAMS e i SAMP/T, i Marder e i Leopard, gli Storm Shadow, gli IRIS-T e gli Aster-30. Ma prima bisogna averne o produrne in quantità sufficiente, e finora non è stato fatto abbastanza (sperando che non ci saranno problemi con le norme ITAR [6], dato che tutte le tecnologie avanzate vengono dagli Usa). Ogni volta che un europeo dice “bisogna sviluppare…” intende dire che saremo pronti nel 2030/2035, a babbo morto.
Problemi finanziari
Senza le migliaia di miliardi di euro che gli europei hanno fornito alla Russia in trenta anni per avere petrolio e gas per finanziare l’Energiewende anti-nuclearista (che funziona, quando c’è vento e sole, a zero emissioni, e per il restante 80% del tempo a fossili: in media, quindi, non funziona), Putin non avrebbe avuto le armi più moderne né avrebbe potuto ammodernare le industrie militari. Ancora oggi, la Russia ottiene 250 miliardi l’anno da esportazioni di fossili [7], incluse importazioni dirette in Europa (in diminuzione), reimportazioni in Europa tramite terzi, e dislocazioni delle catene di approvvigionamento per l’aumentata domanda europea di fonti non-russe di idrocarburi. La coperta è troppo corta: per ridurre i proventi da idrocarburi o bisogna ridurre le esportazioni russe, o bisogna ridurne in prezzi, quindi si deve aumentare l’offerta e ridurre la domanda a livello globale.
Poco o nulla si può fare a riguardo: riattivare le centrali nucleari tedesche potrebbe ridurre la domanda di gas di due miliardi di metri cubi per gigawatt, quindi al massimo venti miliardi di metri cubi. Costruire nuove centrali richiederà da cinque a dieci anni a seconda di quanto seriamente si risolvono i problemi burocratici e amministrativi. L’alternativa è investire in produzione, trasformazione e trasporto da fonti di fossili alternative: nuove trivelle, nuovi oleodotti, nuove raffinerie, etc. Ridurre la domanda di idrocarburi senza il nucleare è velleitario, e aumentare l’offerta è l’unica strada nel breve termine: solo così sarà possibile danneggiare l’economia russa per decine di miliardi, o (nel lungo termine) più. Le sanzioni sono pezzi di carta senza valore se l’unica alternativa agli idrocarburi russi rimane la deindustrializzazione, l’inflazione, o la recessione.
Problemi politici
Gran parte dei paesi occidentali sono attraversati da fenomeni di malcontento e protesta che si accrescono da decenni senza che nessuno faccia nulla per contrastarli. I MAGA negli Usa sono l’esempio più noto, ma il PiS in Polonia, il M5s in Italia, RN in Francia, AfD in Germania e lo UKIP (ora Reform UK) in Gran Bretagna sono altrettanto rilevanti. Quasi tutti i partiti di protesta sono filorussi, con rare eccezioni come il PiS in Polonia e Vox in Spagna, forse più per spirito contrarian che per convinzione.
I movimenti di protesta hanno una serie di temi comuni a quasi tutti i paesi: immigrazione soprattutto unskilled e di religione islamica, micro-criminalità, inflazione, effetti negativi della globalizzazione e dell’ambientalismo, svuotamento delle democrazie nazionali a beneficio di organizzazioni transnazionali (in primis l’Ue). Niente è mai stato fatto per rispondere a queste legittime preoccupazioni, e spesso anzi gli elettori sono stati insultati dalle élite, in un modo poco adatto, e poco intelligente, per una democrazia.
Purtroppo molte cause del malcontento non sono risolvibili: se la compravendita di voti a mezzo di debito pubblico poteva essere sostenibile negli anni ’60 e ’70 in economie dinamiche, giovani e poco indebitate, oggi i margini fiscali per politiche assistenziali e clientelari sono ridotti. E spesso le richieste della protesta sono contraddittorie: non si può avere svalutazione tramite politiche monetarie lasche e contemporaneamente riduzione dell’inflazione (che dipende proprio dalla politica monetaria), come non si può avere protezionismo e contemporaneamente aumento del potere d’acquisto (dato che i prodotti importati sarebbero più costosi). Figuriamoci quando i movimenti di protesta vogliono contemporaneamente meno Europa ma più sussidi europei.
Ma per tutto il resto si può fare molto. Una moratoria per le politiche ambientali, soprattutto quelle ambientalmente dannose come l’antinuclearismo; la politica meno accomodante sull’immigrazione clandestina, l’immigrazione economica unskilled e la criminalità di importazione; più serietà nella lotta al microcrimine; meno accentramento di poteri in sede Ue; meno obblighi e divieti economicamente costosi; meno politiche redistributive a beneficio di pochi e a danno di molti.
Bisogna uscire dalla trappola del politicamente corretto per cui ogni correzione di rotta da politiche fallimentari deve essere necessariamente tacciato di fascismo: gli eletti devono fare l’interesse degli elettori, e semmai indirizzarli verso un’interpretazione migliore dei loro interessi.
Conclusioni
Se con la retorica e le chiacchiere si risolvessero i problemi, l’Europa sarebbe una superpotenza. Purtroppo servono i fatti, e ci sono ostacoli enormi sia a livello nazionale che europeo. Ci vorrà almeno un decennio per far rientrare la protesta politica, trovare un’alternativa razionale e non ideologica agli idrocarburi e un modo sostenibile di applicare sanzioni su più vasta scala alla Russia, sviluppare un’industria militare decente, e ottenere un dispositivo militare credibile.
Ma i problemi in Ucraina richiedono azioni su un orizzonte temporale di sei mesi, che potevano benissimo iniziare tre o dieci anni fa, ma che si è scelto di evitare. Serve meno europeismo acritico, meno ambientalismo ideologico, e soprattutto meno pacifismo.
La leadership deve avere credibilità: chi è stato al governo finora e non ha fatto nulla non può pensare di essere creduto dagli elettori quando promette un’inversione di rotta radicale. E questo renderà le democrazie occidentali sempre deboli, finché non si risolverà il problema della fiducia reciproca tra governanti e governati. Bisogna imparare a distinguere il problema di avere un partito finanziato dai russi [8] dal problema di avere un 50% di elettori disposto a votarlo [9]: il primo è un problema di controspionaggio, il secondo di credibilità delle istituzioni democratiche. Confondere i due problemi, alla lunga, distruggerà la democrazia.
Saremo all’altezza? Nessun problema è insormontabile se si ha la volontà e la capacità di superarlo, ma ci sono molti motivi per dubitare delle nostre capacità e della sincerità delle nostre parole. Servono i Churchill e i De Gaulle, ma il menù politico offre oggi solo Chamberlain e Daladier o Mosley e Petain. (Public Policy)
@pietrom79
(foto cc Palazzo Chigi)