di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il “credo” leghista esce dagli hashtag di Twitter e diventa catechesi di Matteo Salvini. Il dipartimento Enti locali del Carroccio ha inviato ai sindaci la richiesta di realizzare un “video/spot” da utilizzare in campagna elettorale, a partire da sette frasi da ripetere guardando in camera: “CREDO in Matteo Salvini perché da ministro dell’Interno ha ridato dignità ai sindaci e agli amministratori locali”; “CREDO in Matteo Salvini perché conosce i problemi dei territori e ha proposte concrete per poterli risolvere”; “CREDO in Matteo Salvini perché da ministro dell’Interno con i decreti Sicurezza ha azzerato gli sbarchi e contrastato l’immigrazione clandestina e il business dell’accoglienza, un problema che per troppi anni la sinistra ha lasciato in carico ai dindaci e ai territori”.
E ancora: “CREDO in Matteo Salvini perché da ministro dell’Interno grazie ai decreti Sicurezza ha garantito risorse ai piccoli comuni dando dignità ai sindaci e agli amministratori locali per troppi anni dimenticati”; “CREDO in Matteo Salvini perché rappresenta il partito del territorio. Gli enti locali meritano autonomia contro sprechi e inefficienze”; “CREDO in Matteo Salvini perché le città meritano più sicurezza, assunzioni di nuovi agenti, un piano straordinario per la video sorveglianza e pugno duro contro le baby gang”; “CREDO in Matteo Salvini perché il suo programma per l’Italia è concreto e sostenibile. Pace fiscale e Flat Tax, via le tasse sui beni di prima necessità, no al ritorno della legge Fornero, indipendenza energetica, sì al nucleare pulito, stop sbarchi, città sicure e autonomia regionale”.
Orbene, “credere” può essere un verbo pericoloso quando viene usato nel dibattito pubblico, specie in campagna elettorale. Perché ognuno può credere in qualcosa senza bisogno di relazionarsi con l’altro, sia esso il singolo o il pubblico, nel senso di sfera pubblica. Viene spontaneo pensare a un dio, nel quale si può credere o non credere. C’è chi dice di credere anche alla scienza, ma pure in questo caso la parola è rischiosa, come avverte Alberto Peruzzi nel suo “Il valore della scienza”. Si crede semmai al metodo scientifico, che è un’altra cosa. Per questo il “credo” usato come slogan dalla Lega va problematizzato. Se “credo” (e sono appunto io a credere) significa che l’inciampo del relativismo è dietro l’angolo.
“La libertà d’opinione – scrive il professore – non si declina affermando che ognuno ha la sua verità ma allenando a un serio confronto di ragioni nel corso del quale si presta attenzione ai fatti, vengono identificati i presupposti sui quali ciascuna opinione si fonda, ci si preoccupa di ragionare correttamente: proprio a questo allena una buona educazione scientifica, che può essere affiancata da attività che aiutino a coltivare l’intelligenza”.
Ma di fronte a uno che crede e quindi ci crede può diventare difficile opporre opinioni sensate. “Io credo che le cose stiano così”, è la risposta principe di chi crede appunto ai complotti e sarebbe disposto a scommetterci un arto. Laura Castelli, attuale viceministra dell’Economia, è assurta alle cronache con il suo noto o famigerato “questo lo dice lei” rivolto a Pier Carlo Padoan in diretta tv, anche se c’è da dire, come ricorda Marco Tarchi nei suoi corsi di Comunicazione politica quando parla del ruolo dei conduttori di dibattiti, che il copyright è di Lilli Gruber.
“Credere, obbedire, combattere” era un precetto del catechismo fascista ma la credenza non era beninteso a beneficio unico del fascismo; qualunque ideologia ha da vendere qualcosa al pubblico, all’elettorato. “Tutte le ideologie – e i loro surrogati – si basano su credenze (vedi la voce ‘Ideologia’ in Giovanni Sartori, Elementi di teoria politica, che pure è fin troppo ostile a questa nozione)”, osserva Tarchi: “Anche quelle/i che pretendono di discendere da analisi rigorosamente razionali. La politica e la scienza seguono necessariamente percorsi distinti – e, aggiungerei, quando si intersecano sono dolori, di cui fra XIX e XX secolo abbiamo avuto vari esempi”.
Solo che questi sono stati anni pandemici in cui anche alcuni scienziati hanno trasformato sé stessi in santoni della scienza e non del metodo scientifico, così come troppi avversari – persino nelle istituzioni – di vaccini e restrizioni si sono affrettati a dichiararsi ostili alle scelte fatte per salvaguardare la salute pubblica. Tra questi c’è stata pure la Lega che ha flirtato con estremismi vari, forse solo per concorrere politicamente con Giorgia Meloni. Questo “credo” leghista, che prova a tenere insieme radici e credenze, usate come verità personali per conquistare consensi politici, è dunque tutt’altro che casuale.
Io credo, dunque sono. Io credo, dunque ho una mia verità, una mia conoscenza. Sono il certificatore unico della realtà che mi riguarda e che mi circonda. Ma così lo spazio del pubblico scompare, a vantaggio del particolarismo. Non è verità quel che si cerca, dunque, ma conferma delle proprie credenze. Tuttavia, osserva ancora Tarchi, la ricerca di conferma alle proprie credenze “è un elemento ineliminabile” della politica: non sarebbe dunque una prerogativa esclusiva del “credo” leghista. Ma la comunicazione emotiva è degna delle camere dell’eco sui social, dove si persegue la propria verità spacciandola per esclusiva. Quella leghista sarebbe insomma in linea con la politica degli stati nervosi, per dirla con il sociologo William Davies.
Salvini le sta provando davvero tutte per recuperare i consensi perduti a vantaggio di Meloni. La quale, tuttavia, continua a crescere, nonostante i ripetuti allarmi sul fascismo che a sinistra scattano da mesi. Anche in territori solitamente ostili. Per dire, la settimana scorsa ha organizzato una cena elettorale al Mandela Forum a Firenze (e qui lo slogan era “Pronti”): c’erano duemila persone che hanno pagato minimo 30 euro a testa. Non poche in una città da sempre progressista, in cui il centrodestra solitamente non riesce mai a essere davvero competitivo. A destra insomma sono pronti, credo.
@davidallegranti
(foto Daniela Sala / Public Policy)