di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Potrebbe essere letto come un diversivo, l’attacco di Giorgia Meloni al manifesto di Ventotene, sferrato dalla presidente del Consiglio durante la replica alla Camera nel corso delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo. Un diversivo per coprire le divisioni dentro la sua maggioranza, a partire da quelle con la Lega di Matteo Salvini. Un po’ come faceva Mourinho quando per distogliere l’attenzione dalla prestazione dei suoi giocatori metteva in scena show polemici inevitabilmente destinati ad attirare l’attenzione. In questo caso, stando alla metafora, c’è un problema con il “capitano” Salvini.
D’altronde proprio nelle ore in cui Meloni diceva di voler lasciare “ad altri la grossolana semplificazione per cui aumentare la spesa della sicurezza significa tagliare i servizi o il welfare”, il leader della Lega pronunciava esattamente queste parole: “Parliamo di cose serie, parliamo di sanità, di scuole, di stipendi, di infrastrutture, di porti, aeroporti, ponti, di ferrovie, di autostrade, senza togliere soldi per riarmare o comprare carri armati tedeschi o missili francesi”. Eppure, come stava dicendo in aula proprio Meloni, ancorché apparentemente riferendosi a Giuseppe Conte e alle sue critiche al “furore bellicista”, “non è ovviamente così e chi lo sostiene è perfettamente consapevole che sta ingannando i cittadini perché maggiori risorse non ci sono attualmente, non perché investiamo nella difesa, ma perché centinaia di miliardi di euro sono stati bruciati in provvedimenti che servivano solo per creare consenso facile”.
Per la presidente del Consiglio l’ostilità di Salvini alle idee della Commissione sulla difesa europea potrebbe dunque essere un problema (anche qualora il piano von der Leyen venisse aggiustato, a partire dal cambio del nome che poco piace in giro, “ReArm Europe”). (Public Policy)
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(foto cc Palazzo Chigi)