Il problema del riequilibrio della bilancia Usa non è più rinviabile

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di Enzo Papi

ROMA (Public Policy) – La nostra Confindustria lancia segnali di allarme, se non disperazione, a ogni 10% di dazi in più minacciato da Trump. Eppure il problema del riequilibrio della bilancia commerciale Usa è reale e non rinviabile. Quasi 1000 miliardi di dollari di deficit ogni anno significano la deindustrializzazione e, nel contempo, vivere a sbafo sui soldi altrui, che poi altrui non sono, perché si tratta sempre di dollari.

Questo paradosso, determinato dalla finanziarizzazione dell’economia statunitense, conseguenza della creazione di un dollaro meramente fiduciario, ha tolto significato al cambio monetario quale misura di competitività e consentito l’avvento di un’economia drogata da un dollaro stabilmente sopravvalutato di almeno un 30%. La vittoria di Trump è figlia della deindustrializzazione e dell’enorme crescita dello squilibrio tra i pochi super ricchi e la massa di statunitensi medi che hanno smarrito il “sogno americano”. Lo “stregone” Trump racconta ai suoi elettori di avere le giuste medicine per curare la malattia della loro delusione: cacciare i migranti che “rubano il posto ” e mettere dazi alle merci importate che distruggono posti di lavoro. Terapie che avranno il solo effetto di creare inflazione, mettere a rischio le loro pensioni (investite a Wall Street) e creare problemi alla collocazione dei treasuries, ma non reindustrializzeranno il Paese perché nessuno investe su misure protettive, per loro natura provvisorie.

Trump ha due obiettivi: riportare la produzione negli Stati Uniti e mantenere la sovranità del dollaro a protezione del debito pubblico (a circa 36mila miliardi,) oltre alla centralità di Wall Street. Il che significa volere la botte piena e la moglie ubriaca. L’unica e definitiva via per reindustrializzare il Paese è la misura classica che da sempre ha governato l’economia tra Stati. Svalutare il dollaro il cui valore è però affidato al mercato che se ne è appropriato per gestire la finanza internazionale. La restituzione del dollaro alla misura di competitività presuppone un sostanziale ridimensionamento del suo ruolo di moneta di conto della finanza internazionale, che potrà avvenire tanto piu velocemente quando l’euro diventerà una moneta con un largo mercato dei capitali garantito in solido dagli Stati. Dunque l’America è a un bivio in cui deve scegliere tra la protesta sociale e la ricchezza dei gestori di Wall Street.

La protesta sociale interna spinge verso un urgente ridimensionamento del deficit commerciale, che dovrà ben accadere. Le imprese europee e cinesi devono prepararsi a questo inevitabile evento. Se non saranno i dazi (e non lo saranno) sarà la svalutazione del dollaro (o una combinazione dei due) a farlo con conseguenze simultanee sull’economia produttiva e su quella finanziaria.

I Brics, guidati dalla Cina, si stanno preparando a questo evento. L’Europa chiude gli occhi e protesta con Trump per i dazi ingiusti, ma nulla fa per attuare misure, come quelle suggerite dal Rapporto Draghi, che dovrebbero essere urgentemente assunte per prepararsi ai grandi cambiamenti dei mercati e della finanza che si sono ormai avviati, incluso il ridimensionamento del deficit commerciale Usa. Il tema è serio e urgente. Come sempre, la nostra Europa che non c’è, preferisce negarlo o più semplicemente far finta che non esista. Dazi o svalutazione, le nostre esportazioni verso gli Stati Uniti dovranno ridimensionarsi. (Public Policy)