di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Quasi con noncuranza, con disinvoltura, Donald Trump ha scarcerato – a colpi di pardon e commutazioni di pena – circa 1.500 assaltatori di Capitol Hill definendoli “ostaggi del 6 gennaio”. Solo che non esistono gli ostaggi del 6 gennaio 2021 (a differenza degli ostaggi di Hamas del 7 ottobre 2023, oggi liberi, che si trovavano alle sue spalle quando Trump ha pronunciato questa frase). Esistono semmai degli estremisti alla guida di milizie antigovernative – Proud Boys, Oath Keepers – tornati nelle strade con l’obiettivo di sostenere il loro benefattore, il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, come e dove possono.
Uno di loro è Enrique Tarrio, già capo dei Proud Boys, che aveva ricevuto una condanna a 22 anni di carcere, la pena più dura tra quelle inflitte agli assaltatori del 6 gennaio 2021. Tarrio era accusato di congiura con il fine di sedizione, reato che si verifica quando due o più persone negli Stati Uniti cospirano per “rovesciare, reprimere o distruggere con la forza” il governo americano, o per fargli guerra, o per opporsi con la forza e cercare di impedire l’esecuzione di qualsiasi legge. È un’incriminazione molto grave e rara negli Stati Uniti. Quel giorno, il 6 gennaio 2021, per responsabilità di Tarrio e altri “il trasferimento pacifico del potere a un governo appena eletto – una pietra miliare della nostra democrazia – è stato interrotto”, ha detto nel 2023 il procuratore generale degli Stati Uniti Merrick B. Garland, che adesso Tarrio chiede di indagare chiedendo “retribution”. Ma Tarrio è soltanto uno dei leader incriminati, incarcerati e poi liberati da Trump, che ha dunque voluto regalare una seconda occasione a chi assaltato Capitol Hill aggredendo peraltro 140 agenti di polizia penitenziaria. È dunque una strana destra, questa statunitense, che magnifica la legge e l’ordine contro i migranti, salvo poi perdonare i terroristi domestici.
Il trumpismo è dunque pieno di contraddizioni. Basta ascoltare il padrone di Tesla e X Elon Musk, in teoria capo dei libertari mondiali, che però, dopo aver contribuito alla vittoria di Trump negli Stati Uniti, adesso sostiene Alternative für Deutschland alle elezioni federali del 23 febbraio. Musk è persino intervenuto, nel fine settimana, al congresso di AfD. Era raggiante: “Sono molto entusiasta per l’AfD, sei davvero la migliore speranza per la Germania”: ha detto rivolgendosi alla candidata alla cancelleria tedesca Alice Weidel. “Penso sia molto importante che le persone siano orgogliose di essere tedesche. Va bene essere orgogliosi di essere tedeschi”, ha detto ancora Musk: “È bello essere orgogliosi della cultura tedesca e dei valori tedeschi e non perderli in una sorta di multiculturalismo che acceca tutto.. Penso che vogliamo avere culture uniche al mondo. Vogliamo avere persone che… non vogliano che tutto sia uguale ovunque, che tutto sia solo una grande zuppa. Vogliamo avere qualcosa in cui… vai in diversi paesi ed è tutto unico, speciale e buono. Il governo tedesco deve proteggere i suoi cittadini. Il popolo tedesco è una nazione antica che risale a migliaia di anni fa”.
Sembra esserci un po’ di superficialità nelle operazioni politiche di Musk, che scambia le elezioni federali tedesche per una battaglia contro il woke. Ma la Germania non è gli Stati Uniti. Sostenere AfD significa sostenere un partito che strizza l’occhio ai neonazisti e ai putiniani, non prendersela – anche legittimamente – con la deriva identitaria delle università Usa. Sono due cose davvero diverse.
Resta da capire quanto la pubblica opinione europea si farà condizionare dalle sortite politiche di Musk, il cui ruolo di attivista trumpiano va sempre diviso da quello di imprenditore (così come l’opera d’arte va separata dal suo creatore). In Italia, secondo la sondaggista Alessandra Ghisleri, “il 61% degli italiani è persuaso che le esternazioni di Elon Musk siano delle importanti ingerenze sul nostro Paese e di questi il 51% lo interpreta come un fatto negativo”.
Musk è visto come un pioniere nelle tecnologie emergenti, ha scritto Ghisleri sulla Stampa: “Con aziende come Tesla, Space X e Neuralink, è coinvolto, con la sua visione, in progetti che riguardano il futuro come la mobilità, l’esplorazione spaziale, la neuroscienza e l’intelligenza artificiale. Sono questi temi che affascinano le persone e soprattutto le nuove generazioni, sempre più interessate a tecnologie avanzate e a un futuro sostenibile in cui inserire la propria vita”. La sua promozione di futuro “è audace e stimolante come la colonizzazione di Marte, citata anche nel discorso di insediamento del presidente Trump, o la transizione globale verso un’energia rinnovabile”. Queste visioni, di un futuro migliorato grazie all’innovazione, “risultano essere molto attrattive per i più giovani che sono sempre in cerca di cambiamenti radicali e positivi. E sono infatti proprio i rappresentanti della Generazione Z quelli che in maggioranza non riconoscono alcuna ingerenza nel nostro Paese (56.1%) da parte di Elon Musk”.
E questo è un dato interessante, che aiuta a capire in parte che cos’è successo negli Stati Uniti, dove Trump ha potuto contare sul sostegno dei giovani, anche grazie a una campagna elettorale mirata tra alcuni podcaster “alternativi”, da Joe Rogan a Logan Paul.
@davidallegranti