In Ucraina una pace disarmata costerebbe più della guerra

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di Carmelo Palma 

ROMA (Public Policy) – Nell’ultimo atto in cui il Parlamento italiano si è espresso sulla guerra all’Ucraina – la risoluzione di indirizzo al Governo in vista del Consiglio europeo che si è aperto ieri a Bruxelles – Camera e Senato hanno ribadito l’impegno a “continuare a sostenere, per tutto il tempo necessario, I’Ucraina nelle sue diverse dimensioni, politico-diplomatica, economico-finanziaria, militare e umanitaria”.

Ma per tutto il tempo necessario a cosa?

L’elezione di Donald Trump non solo ha cambiato, ma anche semplificato drammaticamente lo scenario. Gli Usa, salvo giravolte imprevedibili e difficilmente ipotizzabili per un candidato che ha vinto puntando su una piattaforma pacifista e neo-isolazionista, faranno esattamente ciò che Trump ha promesso che avrebbero fatto, se lui fosse tornato alla Casa Bianca: ritirare il sostegno militare e finanziario all’Ucraina; propiziare in questo modo un accordo fondato sull’accettazione dell’occupazione territoriale russa di una parte dell’Ucraina, pur senza un formale riconoscimento di sovranità; rimettere la responsabilità della tutela della sicurezza dell’Ucraina non russificata ai Paesi europei più disponibili e volenterosi, se ve ne saranno; e infine, al netto di tutto questo, esigere – a pena di un minacciato disimpegno – un maggiore impegno finanziario e militare dei Paesi europei membri della Nato su minacce che ormai, dopo l’invasione dell’Ucraina, li riguardano direttamente.

Siamo lontanissimi dal tanto evocato “scenario coreano” che, con il Trattato di mutua difesa del 1953, dopo il congelamento del conflitto con la Corea Del Nord, ha di fatto posto la Corea del Sud sotto il protettorato militare americano. In assenza di una vera disponibilità da parte dei Paesi europei a ricoprire il ruolo che gli Usa ricoprono da allora in Corea, una pace disarmata lascerebbe l’Ucraina alla mercè della Russia.

D’altra parte, gli ucraini non potrebbero accettare, ma solo subire un accordo che ricalcasse lo schema del Memorandum di Budapest del 1994, quando, tre anni dopo la riconquistata indipendenza, l’Ucraina riconsegnò tutte le testate nucleari presenti sul suo territorio alla Russia, in cambio del riconoscimento della sua sovranità territoriale, con una garanzia “sulla parola” degli Usa e del Regno Unito. Quanto fosse finta quella garanzia si scoprì vent’anni dopo, nel 2014, quando la Russia invase il Donbas e annesse la Crimea.

Quel che ora non sappiamo non è quel che farà Trump – lo sappiamo benissimo – ma come risponderà Putin – incassando o rilanciando? – e soprattutto come risponderà l’Europa, anche se possiamo presumere una certa riluttanza dei principali paesi Ue e extra Ue – Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Spagna – a un impegno a tempo indeterminato su una frontiera lunga il sestuplo di quella che divide Corea del Sud e del Nord (1600 km contro 250 km).

Ma quanto costerebbe la pace – questa pace – e quanto costerebbe proseguire il sostegno alla resistenza ucraina, con i Paesi europei a surrogare l’impegno finanziario e militare americano (pur con tutti i problemi derivanti dalla presumibile difficoltà di giovarsi di armamenti di produzione statunitense)?

È difficile calcolare quanto costerebbe una pace che esponesse ampi settori dell’est europeo a nuovi “esperimenti” russi, che un accordo non presidiato militarmente incentiverebbe. È invece abbastanza agevole comprendere che il costo della prosecuzione della guerra di resistenza – anche ragionando in termini cinicamente finanziari – non sarebbe così insostenibile e sarebbe probabilmente inferiore a quello che una pace negoziata male e foriera di nuovi conflitti riverserebbe sull’Europa.

Secondo i dati del Kiel Institute gli Usa al 31 ottobre 2024 avevano speso o impegnato per l’Ucraina dall’inizio della guerra, in quasi mille giorni, circa 120 miliardi di euro, che è una cifra pari circa allo 0,7% del Pil annuale dei Paesi Ue. La percentuale scenderebbe ancora considerando il Pil di Paesi europei non membri dell’Ue come ad esempio il Regno Unito e la Norvegia.

Fino ad oggi, l’Italia ha speso in aiuti bilateriali all’Ucraina 2,6 miliardi di euro, pari a circa lo 0,12% del suo Pil. Un altro 0,32% di Pil è andato all’Ucraina attraverso i contributi italiani – solo finanziari e umanitari, ma non militari – intermediati dal bilancio Ue.  Gli aiuti militari italiani a Kyiv sono stati di 1,4 miliardi complessivi. Per dare un termine di paragone, si pensi che l’Italia spende per le missioni militari all’estero – dalla vecchia Unifil in Libano alla recente Aspides nel Mar Rosso – circa 1,8 miliardi di euro l’anno.

Stiamo parlando di numeri incommensurabili al costo che l’esplosione a catena dell’Europa su pressione russa comporterebbe per le economie e le società del continente. L’Europa dovrebbe avere appreso quasi un secolo fa – Monaco 1938 – che una pace a spese di qualcuno prelude sempre a una guerra ai danni di qualcun altro.

Per quanto si voglia giudicare immorale, sbagliata e cieca dal punto di vista geopolitico la scelta di Trump di congedarsi sdegnosamente dallo scenario ucraino, lasciando agli Stati europei una responsabilità politico-militare di questa portata, non si può dare a Trump pure la colpa di quel che decideranno o non decideranno i paesi europei, che in teoria hanno i mezzi per raccogliere questa sfida, se avessero pure coscienza e coraggio dei fini che questa sfida mette in gioco, non solo in Ucraina. (Public Policy)

@CarmeloPalma