di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Il tour de force, quasi concluso, a cui dalla fine di giugno all’inizio di agosto le Camere sono state chiamate, per convertire in legge decreti in scadenza prima della pausa estiva, ha riacceso la ricorrente polemica sulla violazione delle prerogative del Parlamento e dei parlamentari nell’attività legislativa, per il contestuale abuso del ricorso alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia da parte del Governo.
Questo fenomeno ha ormai una dimensione quantitativamente e qualitativamente abnorme, ma le responsabilità non possono essere addebitate unicamente all’Esecutivo o alla maggioranza e, tantomeno, a questo Esecutivo e a questa maggioranza, che ha proseguito sulla strada di quell’emergenzialismo istituzionale, in nome del quale il sistema politico italiano, ormai da decenni, ritiene il sacrificio del Parlamento un male minore rispetto a quello di altri “beni pubblici” costituzionali o addirittura un fattore di efficienza per il funzionamento dello Stato.
Non è infatti casuale che la marginalizzazione del Parlamento rispetto all’esercizio del potere legislativo abbia accompagnato la progressiva delegittimazione della rappresentanza politica, come sistema di intermediazione del consenso sostanzialmente parassitario e tendenzialmente rinunciabile, a vantaggio di forme di democrazia diretta leaderistica e plebiscitaria. Questo spiega perché la subordinazione del Parlamento non abbia suscitato né susciti alcun interesse fuori dalla cerchia ristretta degli addetti ai lavori e dalle proteste delle opposizioni di turno, peraltro disposte, una volta divenute maggioranze, ad adeguarsi all’andazzo.
Guardiamo i dati forniti dall’Osservatorio legislativo e parlamentare della Camera dei deputati sulla produzione normativa. Al 13 luglio 2024, dall’inizio della XIX legislatura erano stati emanati 69 decreti legge. Quelli convertiti in legge sono 55. Alcuni al 13 luglio non erano ancora stati convertiti, mentre 7 erano decaduti e il loro contenuto era stato inglobato in altri provvedimenti legislativi.
Le leggi ordinarie complessivamente approvate dalle Camere a quella data erano state 130, di cui sono 55 leggi di conversione di decreti-legge. Delle altre 75, 41 sono di iniziativa governativa, 32 di iniziativa parlamentare e 2 di iniziativa mista: una governativa e parlamentare. Per l’approvazione delle 130 leggi ordinarie (ce n’è stata una di natura costituzionale) è stata posta la fiducia 35 volte in almeno una Camera e 22 volte in entrambe le Camere.
Sostenere che il 42% delle leggi sono state conversioni di decreti e che il 26% di esse sono state approvate, almeno in una Camera, con la fiducia, non dà l’esatta misura dell’impatto che il combinato disposto dell’abuso di decreti e di voti di fiducia ha sull’attività legislativa e sul funzionamento del Parlamento.
Se infatti si guarda al “peso” dei provvedimenti legislativi approvati (derivato dal numero di parole contenute in ciascuno di essi), i decreti legge pesano circa due terzi del totale, mentre i disegni di legge di iniziativa parlamentare meno del 4%. Inoltre l’uso della fiducia in almeno una delle due Camere, in genere sui provvedimenti più delicati e dibattuti, istituisce de facto una sorta di monocameralismo alternato, per cui una proposta viene esaminata e discussa da una Camera e semplicemente ratificata dall’altra.
Quando si parla di abuso della decretazione d’urgenza e del voto di fiducia non si parla solo di queste anomalie quanti-qualitative, ma di una sostanziale violazione di norme in vigore, anche di rango costituzionale.
I decreti legge ordinariamente derogano sia ai principi di straordinarietà, necessità e urgenza stabiliti dall’articolo 77, comma 2 della Costituzione, sia a quelli di cui all’articolo 15, comma 3, della legge 400/1988, che stabilisce che essi debbano contenere solo norme di immediata applicazione, e che il loro contenuto debba essere specifico e omogeno. La prassi dei decreti omnibus o addirittura programmatori, colmi di norme eterogenee e ad applicazione differita e giustificate da autoproclamate emergenze politiche, è ormai a tutti gli effetti normalità istituzionale, con i soli freni della giurisprudenza correttiva della Corte costituzionale.
Normalissimo risulta ormai anche il ricorso al voto di fiducia per aggirare interamente la discussione parlamentare sui provvedimenti più complessi e comprendere l’approvazione delle norme più diverse in un’unica votazione, malgrado l’articolo 72, primo comma della Costituzione stabilisca che commissioni e assemblea in entrambe le camere debbano approvare i progetti di legge “articolo per articolo”.
Comprensibilmente è difficile che chi potrebbe e dovrebbe abbia impulso a intervenire, di fronte all’immagine degradata del Parlamento, in parte frutto di campagne di discredito, in parte auto-procurata dagli stessi parlamentari, per la negligenza e la corrività con prassi lesive delle loro prerogative.
Oggettivamente, però, se ai vertici delle Camere e al Quirinale non si oppongono ostacoli a questa deriva – cosa non solo possibile, ma a questo punto dovuta – ci vuole una esagerata dose di ottimismo per ritenere che basti la moral suasion per rallentarla o per fermarla. Quel che abbiamo di fronte non dipende solo dalla prepotenza dei Governi, ma dell’inerzia dei controllori. (Public Policy)
@CarmeloPalma