di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Non c’era bisogno di attendere la fine della corsa quirinalizia: il Governo probabilmente era già finito prima della rielezione di Sergio Mattarella. Tutte quelle tensioni, tutta quella animosità all’interno della maggioranza e all’interno delle singole coalizioni che sostengono l’Esecutivo Draghi. Tutti quei problemi interni ai partiti, da centrodestra a centrosinistra, rimasti nascosti come polvere sotto il tappeto draghiano.
L’anno pre-elettorale è giunto con tutta la sua furia distruttrice. L’Esecutivo, ormai, non fa che andare sotto, nelle commissioni. Nella notte fra mercoledì e giovedì il Governo è accaduto quattro volte. Da segnalare la “vittoria” di Fratelli d’Italia, che con 39 voti a favore contro 38 lascia per un altro anno il tetto dell’uso del contante a 2.000 euro anziché a 1.000. Una battaglia simbolica per il partito di Giorgia Meloni, che adesso può lanciare il solito attacco “alle banche” e “in difesa” delle famiglie. Ma da segnalare anche l’approvazione di alcuni emendamenti soppressivi dell’articolo 21 del Milleproroghe sull’ex Ilva, alcuni dei quali erano stati presentati dai partiti di maggioranza.
Ora, non c’era bisogno di chissà quali virtù predittive per capire che sarebbe stato un bagno di sangue, per Mario Draghi, che è visibilmente irritato e l’ha fatto sapere ai partiti. Come al solito, però, un conto è immaginarsi le cose, un altro conto è vederle con i propri occhi. E quello che vediamo oggi è una maggioranza litigiosa, che dovrebbe occuparsi di un mucchio di argomenti dirimenti per la vita del Paese, a partire dalla giustizia sulla quale – in almeno 4 casi, tanti sono i referendum ammessi dalla Corte costituzionale – i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi.
C’è chi dice, tra i parlamentari, che anche sul tema della giustizia, le Camere dovrebbero intervenire prima dei referendum, anche per dare risposte che la cittadinanza evidentemente richiede. Ma l’impressione è che la via dell’identitarismo di partito – neanche di coalizione – sia l’unica strada percorribile dalla composita maggioranza. Se questa impressione venisse confermata in queste settimane ci troveremmo di fronte al fallimento dell’agenda Draghi, che potrebbe trovarsi – salvo comprensibili passi indietro – commissariata dall’agenda Mattarella, resa così cristallina nell’intervento del capo dello Stato in Parlamento per la rielezione. Un’agenda – applausi alla mano – sulla quale nessuno sembra avere niente da dire, almeno tra i parlamentari. Draghi, però, potrebbe avere qualcosa da eccepire sul metodo: cari partiti, ma allora io che ci sto a fare? (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)