La rielezione di Macron e la “liberazione” di Petrocelli

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Emmanuel Macron (nella foto con il premier Mario Draghi) è stato rieletto, domenica scorsa, presidente della Repubblica francese. Una vittoria netta, 58 per cento contro 42 per cento. “Una rielezione sull’orlo del baratro” ha scritto Jérôme Fenoglio, direttore di Le Monde, in un editoriale. Il baratro era quello europeo, ma non solo. Per questo le elezioni francesi erano diventate un referendum sull’Unione europea, si diceva nei giorni scorsi a Bruxelles. In caso di vittoria di Le Pen, che non si è affatto moderata (forse nei toni, ma non nei contenuti), avrebbe ridisegnato i contorni della politica continentale. C’è da dire comunque, lo notava Fenoglio, che Marine Le Pen ha preso 13,3 milioni di voti, 2,7 milioni in più che nel 2017, stabilendo il miglior risultato dell’estrema destra a un’elezione (sempre di sconfitta, beninteso si tratta, come nel 2017 e come nel 2012; come Jean-Marie nel 1974, 1988, 1995, 2002 e 2007). Circa 16,7 milioni di persone si sono astenute e lo stesso Macron, trionfatore delle elezioni, ha perso 2 milioni di voti in cinque anni. Non va dunque sottovalutata, e Macron ha detto che non lo farà nei prossimi cinque anni, la rabbia del popolo francese, specie di chi ha perso potere d’acquisto e ha cercato nell’estrema sinistra o nell’estrema destra risposte che il riformismo macronista non ha saputo dare. Non va dunque escluso un ritorno sulle scene francesi di movimenti di protesta, come già avvenuto con i gilet gialli. Non sarebbe una novità.

Una novità invece è arrivata per quanto riguarda l’estrema destra francese, che cinque anni fa spingeva fortemente per uscire dall’Europa e ora ha capito che non si può governare contro l’Unione europea. “Oggi i partiti di estrema destra che vogliono governare – quindi non semplicemente mantenere una posizione di contestazione per avere posti in Parlamento – sono obbligati a rivedere la loro posizione sull’Europa e sull’euro. Non possono dire in modo esplicito che vogliamo uscire dall’Europa, devono anzi europeizzare la propria linea”, ha detto Gilles Gressani, politologo, direttore della rivista Le Grand Continent. “Si insiste dunque sulla civiltà europea, come dice Orbàn, sulla civiltà bianca e cristiana. Giorgia Meloni ripete, non a caso, di essere una donna cristiana e lo fa anche in Spagna, ospite di Vox. Stesso discorso per Le Pen e Matteo Salvini, che continuano a dire che stanno lavorando insieme alla loro Europa. È in corso dunque una europeizzazione del nazionalismo”. Nel nazionalismo vecchia maniera, ha osservato Gressani, “erano le frontiere di Francia e Germania a fronteggiarsi. Oggi il nuovo nazionalismo assume una forma diversa, continentale. Vuole sovvertire l’Unione europea, perché l’elettorato glielo chiede; ma lo fa a partire da una riforma del nazionalismo, che si deve inevitabilmente europeizzare. Naturalmente è un tentativo molto complicato, perché ci sono pochissimi Paesi – tolta l’Ungheria di Orbán e in parte la Polonia – che abbiano questa capacità su scala europea”. Il tentativo salviniano, se mai c’è stato, è stato auto-disinnescato dalla crisi del Papeete.

Alle presidenziali appena concluse i partiti tradizionali – Socialisti, Repubblicani – sono stati spazzati via, dimostrando, come sostiene Macron, di essere buoni soltanto per le elezioni locali. A giugno però ci saranno le legislative, altre elezioni molto importanti che hanno regole diverse delle elezioni presidenziali, dopodiché non si voterà più in Francia fino al 2026, con l’eccezione delle Europee del 2024. I partiti tradizionali hanno l’ultima occasione per dimostrare che non sono del tutto defunti.

L’espulsione dal M5s, annunciata da Giuseppe Conte, di Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri al Senato, è tardiva. Petrocelli ha “festeggiato” il 25 aprile con un tweet inneggiante alla “LiberaZione”, con la Z maiuscola. Non un refuso ma una rivendicazione di vicinanza alla Russia, che con i suoi mezzi militari marchiati ha invaso l’Ucraina e la sta attaccando da oltre due mesi. Sono posizioni politiche, quelle di Petrocelli, eletto con il M5s, che non devono stupire. Se c’è una cosa che questa guerra ha insegnato ai più titubanti è che è in corso una riorganizzazione del mondo – non fosse altro soltanto dal punto di vista intellettuale – fra società liberali e società illiberali o finanche dittatoriali (dalla Russia alla Cina: chi si somiglia si piglia). Le parole di Petrocelli in queste settimane dunque rientrano in uno schema preciso. Gli anti-occidentali non sorgono con l’attacco della Russia; tutto il M5s, poi, al di là delle sue piroette, ha sempre avuto feroci sentimenti antiamericani, anti-Nato, che oggi vengono nascosti dall’appartenenza a un Esecutivo, come quello Draghi, in cui il presidente del Consiglio cerca di lasciare poco spazio ai populismi anti-occidentali.

Se fosse ancora in piedi il primo Governo Conte, quello costituito fra Lega e M5s, due partiti apertamente filorussi in questi anni, le cose sarebbero molto diverse in Italia, dove il 25 aprile il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stato costretto ancora una volta a spiegare da che parte stare: “Nelle prime ore del 24 febbraio siamo stati tutti raggiunti dalla notizia che le Forze armate russe avevano invaso l’Ucraina, entrando nel suo territorio. Come tutti, quel giorno, ho avvertito un pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione. A questi sentimenti si è subito affiancato il pensiero agli ucraini svegliati dalle bombe. E, pensando a loro, mi sono venute in mente queste parole: ‘Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor’. Sappiamo tutti da dove sono tratte queste parole. Sono le prime di Bella ciao”. E dunque, “questo tornare indietro della storia rappresenta un pericolo non soltanto per l’Ucraina ma per tutti gli europei. Avvertiamo l’esigenza di fermare subito, con determinazione, questa deriva di guerra prima che possa ulteriormente disarticolare la convivenza internazionale, prima che possa tragicamente estendersi. Questo è il percorso per la pace, per ripristinarla; perché possa tornare ad essere il cardine della vita d’Europa. Per questo diciamo convintamente: viva la libertà, ovunque. Particolarmente ove sia minacciata o conculcata”. Avvertite Petrocelli. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)