di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – È dunque arrivato settembre e il Pd scopre di avere un problema non secondario di leadership, come testimoniano le elezioni regionali alle porte. La segreteria nazionale del Pd, a cominciare da Elly Schlein, ha infatti un potere contrattuale molto ridotto (soprattuto nei confronti degli alleati).
In Toscana (si vota il 12 e 13 ottobre) ha dovuto accettare suo malgrado la ricandidatura di Eugenio Giani, che invece avrebbe voluto volentieri sostituire. In Campania deve subire le volizioni di Vincenzo De Luca, oggi imprescindibile elemento di unità per favorire la nascita del Campo Largo con la candidatura di Roberto Fico. Le elezioni non sono ancora state fissate ma come abbiamo già spiegato su Public Policy la settimana scorsa De Luca ha già vinto. Il presidente uscente sta ottenendo infatti tutto quello che voleva e vuole, a partire dalla continuità politico-dinastica nel partito regionale, visto che il Pd nazionale ha accettato, suo malgrado, e dopo aver annunciato rivoluzioni mai concretizzate, la corsa del figlio Piero, deputato del Pd, a segretario campano. Un ruolo di primo piano che testimonia quanto siano inossidabili i De Luca nella loro terra. Senza di loro infatti l’accordo su Fico non sarebbe stato possibile. È dunque una sconfitta netta per il Pd nazionale e il Pd campano, che per mesi ha trattato De Luca come un “cacicco”.
C’è però chi la vede in maniera diversa. È il caso di Sandro Ruotolo, europarlamentare del Pd e coordinatore della mozione Schlein in Campania: “Grazie a Schlein l’era De Luca si è finalmente conclusa, con il suo netto no a un terzo mandato: tanti segretari del Pd ci avevano provato prima di lei, inutilmente”, ha detto Ruotolo in un’intervista della settimana scorsa al Fatto Quotidiano. Ci ha pensato, per la verità, la Corte costituzionale, che con la sentenza numero 64 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Campania numero 16 del 2024, per violazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione, in relazione al parametro interposto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera f, della legge numero 165 del 2004, quella sul divieto del terzo mandato consecutivo del presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto. Ma sono dettagli.
Nelle Marche (voto 28 e 29 settembre) si candida Matteo Ricci, europarlamentare del Pd in carica appena da un anno. C’era bisogno di lui perché le alternative, tra gli schleiniani, non esistevano. In Calabria (5 e 6 ottobre) scende in campo Pasquale Tridico, anche lui europarlamentare in prestito del M5s. La sua candidatura già sta creando qualche problema per via dell’intenzione di candidare come capolista la professoressa Donatella Di Cesare, nota per le sue posizioni filoputiniane nonché per aver omaggiato, quando morì, Barbara Balzerani, brigatista che rivendicò tra le altre cose l’omicidio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti. “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”.
In Puglia, dove ancora non c’è una data, il Pd nazionale non può fare niente se non assistere alle scelte di quelli che Mauro Calise chiama micronotabili. Antonio Decaro, europarlamentare del Pd, si candida solo se non si presentano in Consiglio regionale Michele Emiliano, presidente di Regione uscente, e Nichi Vendola, già presidente della Regione nonché esponente di punta di un altro partito: “A Michele Emiliano e a Nichi Vendola mi legano stima e affetto sinceri, oltre che una storia comune di cui sono orgoglioso e che non rinnego”, ha scritto sulla sua pagina Facebook. “Ma io voglio essere un presidente libero, capace di assumermi fino in fondo la responsabilità delle scelte. Non voglio essere ostaggio delle decisioni di chi mi ha preceduto. La Puglia non ha bisogno di un presidente a metà. Non è una questione personale. È una questione politica, nel segno del rinnovamento. Questo ho chiesto”. Per ora tuttavia tutti rimangono sulle proprie posizioni.
Insomma, Schlein ha vinto le primarie nel 2023, ma non ha fatto emergere una classe dirigente sua; la rivoluzione tarda ad arrivare perché in giro per l’Italia governano gli stessi. È il paradosso delle Europee: il Pd ha vinto o quantomeno ha tenuto bene proprio grazie a quei candidati di cui Schlein si vorrebbe liberare. Una schema che il centrosinistra rivedrà alle prossime elezioni regionali. (Public Policy)
@davidallegranti