di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il discorso della settimana scorsa a Monaco di J.D. Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, ha scosso se non scioccato i vertici europei. “La minaccia che più mi preoccupa nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno. La ritirata dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America”, ha detto Vance, autore del memoir “Elegia americana”.
Si è detto che Vance ha impartito una lezione all’Unione europea. È sembrato piuttosto un attacco, peraltro a nove giorni dal voto federale in Germania (si vota il 23 febbraio e la destra statunitense, compreso Elon Musk, si è schierata con AfD di Alice Weidel). “Ora, mi ha colpito che un ex commissario europeo sia andato in televisione di recente e si sia mostrato compiaciuto del fatto che il governo rumeno avesse appena annullato un’intera elezione. Ha avvertito che se le cose non andranno secondo i piani, la stessa cosa potrebbe accadere anche in Germania”. Queste dichiarazioni “sprezzanti sono scioccanti per le orecchie americane. Per anni ci è stato detto che tutto ciò che finanziamo e sosteniamo è in nome dei nostri valori democratici condivisi. Tutto, dalla nostra politica sull’Ucraina alla censura digitale, è presentato come una difesa della democrazia. Ma quando vediamo i tribunali europei annullare le elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre, dovremmo chiederci se ci stiamo attenendo a uno standard adeguatamente elevato, e dico noi stessi perché credo fermamente che siamo nella stessa squadra. Dobbiamo fare di più che parlare di valori democratici, dobbiamo viverli”.
Giova tuttavia ricordare che il 6 gennaio 2021 una folla trumpiana irrompeva Capitol Hill fracassando finestre con gli scudi sottratti agli agenti di polizia, convinta che i Democratici avessero scippato le elezioni sottraendole a Donald Trump. Gli autori di quella violenta sommossa a Capitol Hill sono stati di recente perdonati o la loro pena è stata commutata proprio dal neo-presidente degli Stati Uniti. Detto questo, il messaggio che arriva dalla nuova amministrazione è sempre più chiaro. Prima Pete Hegseth, segretario alla Difesa, ha detto agli alleati che gli Stati Uniti non saranno più il “garante principale” della sicurezza dell’Europa. Qualche ora dopo, Trump ha parlato con Vladimir Putin senza concordare alcuna linea con l’Ucraina di Volodymyr Zelensky (ha pure detto che Kiev non deve entrare nella Nato).
Dunque, venerdì scorso, Vance ha lanciato il suo attacco al cuore dell’Europa, scatenando le reazioni dei vertici. Tra le più accigliate c’è stata quella di Boris Pistorius, ministro della Difesa tedesco: “In questa democrazia ogni opinione ha voce. Questa democrazia permette di fare una normale campagna elettorale a partiti estremisti come Afd. Questa è democrazia. Ma la democrazia non significa che una minoranza rumorosa abbia automaticamente ragione e determini la verità. E la democrazia deve difendersi dagli estremisti che vogliono distruggerla”, ha detto Pistorius: “Non solo sappiamo contro chi dobbiamo difendere il nostro paese, ma anche per che cosa: per la democrazia, per la libertà di opinione, per lo stato di diritto e per la dignità di ciascuno”.
Si può dunque rispondere in maniera ferma agli emissari di Trump senza cedere in indignazione. Oltretutto, viene da chiedersi se dal caos trumpiano non si possa trarre persino qualche beneficio. Per esempio sulla questione della difesa, di cui ci siamo occupati a Primo Firmatario venerdì scorso. Dopo aver chiesto ai Paesi della Nato di spendere in difesa il 2 per cento del Pil, l’autore di “The art of the deal” ha rilanciato dicendo che adesso dovrebbero spendere il 5 per cento (fonti del Financial Times hanno detto, settimane fa, che si accontenterebbe, alla fine, del 3,5). Lasciamo perdere il fatto che solo 23 Paesi su 32 riescono ad arrivare al 2 per cento, figuriamoci arrivare al 5 per cento. Ma non è forse arrivato il momento, anche solo per l’Unione europea, di ammettere che le vacanze dalla Storia dopo 70 anni di protezione degli Stati Uniti sono finite? E che è legittimo pensare a una difesa comune europea senza bisogno degli Usa a ricoprire il ruolo di sceriffo globale?
Ancora, su Starlink e SpaceX: Musk, finanziatore della campagna elettorale di Trump e consulente della nuova amministrazione, uomo più ricco del mondo, viene descritto dai progressisti come un cripto-fascista in preda a sé stesso pronto a conquistare terra e spazio. Al di là delle contraddizioni di Musk, le domande a fare sono: Starlink è sicuro per le telecomunicazioni della nostra difesa? È utile? Quali sono le alternative? La Commissione europea ha appena aggiudicato al consorzio SpaceRISE un contratto di concessione di 12 anni per lo sviluppo, la diffusione e la gestione del sistema satellitare dell’Unione per la connettività sicura IRIS2 (Infrastruttura per la resilienza, l’interconnettività e la sicurezza via satellite), che però entrerà in funzione non prima del 2030. Le regole del mercato dovrebbero valere anche per le nostre paure come elettori e cittadini: se un presidente degli Stati Uniti ci spaventa, se un vicepresidente degli Stati Uniti ci spaventa, troviamo delle soluzioni altrove, senza aspettare che qualcuno risolva i problemi al posto nostro. (Public Policy)
@davidallegranti





