di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – In un Paese in cui l’informazione è molto attenta al Vaticano e al Papa, con decine di pagine quotidiane dedicate alla morte di papa Francesco e alla scelta del suo successore, Leone XIV, ci sarà qualcuno che userà la stessa cura del Pontefice appena scomparso nei confronti dei detenuti? La domanda, invero retorica, andrebbe rivolta (anche) al Governo italiano. Specie dopo aver letto i dati recenti di Eurostat sul tasso di sovraffollamento delle carceri europee: l’Italia è l’Atalanta del sovraffollamento carcerario, al terzo posto.
Nel 2023 il numero di detenuti presenti nelle carceri dell’Unione europea – in totale 499 mila persone – è aumentato del 3,2 per cento. C’erano 111 detenuti ogni 100.000 abitanti, leggermente di più rispetto al 2022, quando il tasso era di 108. Nel periodo tra il 1993 e il 2023, il numero più alto di detenuti è stato registrato nel 2012 (553.000 detenuti). Dopo un periodo di stabilità tra il 2017 e il 2019, si è verificata una diminuzione del 6,6% nel 2020 (463.000 detenuti), seguita da un aumento complessivo del 7,7% tra il 2021 e il 2023. Confrontando i Paesi dell’Ue, i tassi più alti di detenzione per 100.000 abitanti nel 2023 sono stati registrati in Polonia (203), seguita da Ungheria (187) e Repubblica Ceca (181). I tassi più bassi si sono avuti in Finlandia (53), nei Paesi Bassi (66) e in Slovenia (68). Sono 13 Paesi i dell’Ue ad avere carceri sovraffollate. Il sovraffollamento più elevato è stato osservato a Cipro, con un tasso di occupazione del 226,2%, seguito dalla Francia (122,9%) e dall’Italia (119,1%). I tassi di occupazione più bassi sono stati registrati in Estonia (56,2%), Lussemburgo (60,8%) e Bulgaria (67,7%).
L’Italia dunque ha conquistato il podio delle carceri più sovraffollate. Un record che è stato rimarcato nei giorni scorsi dalla relazione della Corte dei conti su “Infrastrutture e digitalizzazione: Piano Carceri”. “A dieci anni dalla conclusione della gestione commissariale, l’analisi sullo stato di attuazione del “Piano Carceri” evidenzia situazioni critiche di sovraffollamento carcerario che – soprattutto in Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia – assumono contorni ai limiti dell’emergenza, anche alla luce dei dati del ministero della Giustizia”, ha scritto la Corte dei Conti. Accanto alla necessità legata alla creazione di nuovi posti detentivi emergono la mancata realizzazione di numerosi interventi e l’urgenza di completare quelli di manutenzione straordinaria già avviati, per migliorare le condizioni ambientali, igienico-sanitarie e di trattamento all’interno degli istituti.
Sono tutte questioni però che il Governo italiano non riesce ad affrontare, forse non vuole nemmeno risolvere fino in fondo. È una questione di cultura giuridica. Lo dimostra l’uso e l’abuso del diritto penale, certificato dal dl Sicurezza che introduce nuovi reati (come il delitto di rivolta in carcere, fortemente criticato dai giuristi). Lo dimostra la vicenda dell’esternalizzazione dei giovani detenuti presenti negli Istituti Penali per Minorenni (affollati, adesso, come il resto del carcere), nel carcere della Dozza. “Il Governo prosegue sulla ‘non soluzione’ dei trasferimenti alla sezione giovani adulti della Dozza: nei prossimi giorni sono previsti 25 nuovi ingressi”, ha detto il vicecapogruppo di Avs alla Camera, Marco Grimaldi, che ha presentato un’interrogazione sul tema: “Per noi la sezione giovani adulti va chiusa: dobbiamo tenere i ragazzi fuori dalle carceri, con tutte le misure alternative che abbiamo a disposizione”.
Per la verità, la questione carceraria – in un Paese di politici molto attenti alle vicende vaticane – interessa poco anche l’opposizione. Basta vedere la scarsa attenzione ricevuta dalla proposta di legge “Zuncheddu e altri” promossa dal Partito Radicale. Ha firmato solo il 5 per cento e le firme necessarie sono 50mila. La proposta punta a garantire una provvisionale economica a chi alla fine di un processo è stato assolto.
“Ci sono persone che si sono viste distruggere l’esistenza: la giustizia, in qualche modo, ha sottratto loro anni di vita e non solo perché sono state in carcere, ma a volte anche per poter sopravvivere dopo l’errore giudiziario o l’ingiusta detenzione. La proposta prevede un assegno che parta dal momento dell’assoluzione fino alla sentenza di risarcimento del danno”, dice il Partito Radicale presentando la proposta che porta il nome di Beniamino Zuncheddu, che ha trascorso quasi 33 anni in carcere da innocente: “Io che ho vissuto da vicino la storia e la vicenda di Beniamino”, ha spiegato Irene Testa, tesoriera del Partito Radicale e Garante dei diritti delle persone private della libertà personale in Sardegna, “mi sono resa conto che da quando è stato liberato, cioè un anno fa, per Beniamino non è cambiato niente. Sì, come dice lui, si è aperta la porta del carcere e quindi adesso è libero, ma fondamentalmente non c’è stata nessuna forma di sostegno da parte delle istituzioni. Quindi Beniamino, dopo 33 anni, è uscito dal carcere ma continua a dover chiedere alla famiglia un aiuto per poter andare avanti. Continua a umiliarsi”. Beniamino Zuncheddu è “una persona cui è stata sottratta e sequestrata la vita”, ha passato tanti anni di carcere da innocente, ma ora che è uscito “si ritrova costretto a dover pietire e chiedere aiuto per poter sopravvivere. Quindi questa proposta si inserisce in un vuoto normativo, nel quale il legislatore non ha proprio previsto niente: dal momento dell’assoluzione dell’imputato fino alla sentenza di risarcimento danni, non esiste una forma di sostentamento per chi è stato assolto”.
Fra una notizia e l’altra sul soglio pontificio, si spera in una breve in cronaca. (Public Policy)
@davidallegranti