Lo Spillo

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ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Un giro a vuoto con esito negativo. Questo il rischio che corre il “decreto competitività” del governo per quanto riguarda l’energia, dove è prevista una riduzione, dal 2015, del 10% del costo della bolletta elettrica delle piccole e medie imprese che hanno un’utenza superiore a 16,5 kilowatt, cioè 700 mila soggetti, il 15% del totale. Costo 1,5 miliardi, di cui 700 milioni stanziati direttamente dall’esecutivo e 800 che dovrebbero derivare da un taglio retroattivo degli incentivi già stabiliti negli anni scorsi per chi produce fotovoltaico.

Ma se le imprese manifatturiere pagano la bolletta elettrica il 30% in più dei concorrenti, è altrettanto vero che a fronte di un piccolo vantaggio per una limitata platea dei beneficiari, il provvedimento rischia di causare danni ben maggiori. Gli autori del decreto si difendono sostenendo che saranno toccati solo gli impianti di potenza nominale superiore ai 200 kilowatt, che sono 8.600 su 200mila, che si vedrebbero spalmati in 24 anni invece che in 20 i sussidi pubblici. Peccato, però, che questo 4% del totale prenda 2,5 miliardi all’anno, il 60% del complesso dei sussidi concessi al fotovoltaico, perché rappresenta i grandi impianti, cioè proprio quelli che più dovrebbero essere tutelati, visto che un errore commesso in questi anni nel favorire lo sviluppo del solare è quello dell’eccessiva polverizzazione.

Senza contare che trattasi di una revisione unilaterale da parte dello Stato di patti da esso stesso sottoscritti, in aperta violazione di contratti e leggi preesistenti. E a non essere credibili alla lunga ci si rimette.

Una siffatta revisione retroattiva ha molteplici effetti negativi: scoraggia investimenti privati e credito bancario, vista l’impossibilità di programmare strategie industriali; avvantaggia immotivatamente le strutture monopoliste e scoraggia i nuovi produttori, a danno della libera concorrenza; apre il campo a ricorsi e diatribe legali, come quelli già intrapresi di fronte alla Corte Ue nei confronti di simili misure spagnole del 2012 e che sono prevedibili anche per l’Italia, visto che Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha bollato come “gravemente incostituzionale” il provvedimento del governo. Infine, stimolando la produzione interna di energie rinnovabili non programmabili (vento e sole) gli incentivi tutelano decine di migliaia di giovani che lavorano nel settore, pongono l’Italia in prima linea nella politica europea in materia e, soprattutto consentono la proporzionale riduzione della dipendenza energetica dall’estero.

Paghiamo l’energia troppo cara e da Paesi da cui sarebbe meglio non essere dipendenti (Russia, Algeria, Libia, Iraq, Egitto, Iran..). Se non possiamo fidarci dei nostri fornitori e degli scenari geopolitici in cui sono coinvolti, almeno facciamo si che gli investitori esteri si fidino di noi. Pacta sunt servanda. (Public Policy)