(Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Non è ripetendo a pappagallo “2.0” che si sfruttano le potenzialità della rivoluzione digitale. Perché, oltre ai mantra tanto cool quanto inutili, in Italia non è mai stato definito un contesto normativo certo e stabile, propedeutico ad investimenti in uno scenario in continua evoluzione come è quello delle tecnologie dell’informatica.
Perché i quattrini pubblici e privati fluiscano sulla banda larga, infatti, servono programmazione e strategia, non bastano le parole. Perciò, è positivo che l’Italia si sia impegnata con l’Europa a garantire entro il 2020 che l’85% degli italiani abbia una connessione di almeno 100 Mbps, con un piano di investimenti da 7 miliardi che il sottosegretario Giacomelli ha promesso di presentare a breve.
E, all’interno dello “Sblocca Italia“, sono da valutare positivamente sia il credito d’imposta per la realizzazione di reti a banda larga concesso per il 2015, sia l’obbligo di relative infrastrutture per i palazzi costruiti o ristrutturati dopo luglio prossimo. Inoltre, c’è la possibile convergenza tra la richiesta italiana di inserire le autostrade digitali nei progetti beneficiari dei 40 miliardi di finanziamenti europei e la disponibilità del neo commissario per l’agenda digitale,áGünther Oettinger, di incentivare nuovi investimenti.
Una collaborazione tra pubblico e privato, come sostiene il presidente della Cdp, Franco Bassanini (a cui fa eco la Bei), che potrebbe moltiplicare fino a 20 volte una spesa iniziale di 500 milioni. Tutte queste iniziative, però, rischiano di essere buchi nell’acqua se non viene soddisfatta una precondizione fondamentale: la definizione di un contesto di regole certe, chiare e permanenti. Altrimenti, le strategie restano parole scritte nel vento e gli investitori scappano.
Lo sostengono un po’ tutti – da Patuano a Oettinger, da Bassanini al presidente di Confindustria Digitale Elio Catania – e lo dimostra la storia: se si esclude Metroweb (caso più unico che raro, il cui positivo lavoro viene testimoniato oggi dall’interesse ufficiale di grandi gruppi), quasi nessuno ha investito nella Penisola, le infrastrutture digitali mancano e l’Italia è divenuta un mero terreno di conquista. Secondo Agcom e Antitrust, solo sul 25% del nostro territorio è possibile ci sia vera concorrenza.
Eppure, è stata proprio la concorrenza e la liberalizzazione del mercato che ha spinto al successo molte grandi telco. Prendete Bt, che dopo aver ben affrontato la battaglia della competizione e dello scorporo della rete britannica, ha accettato e vinto una sfida ulteriore e ancor più difficile: quella dell’offerta e della produzione di contenuti direttamente ai clienti. La strada segnata, infatti, è quella della convergenza tra media, internet, telefonia, tv. In questi progetti, un colosso mondiale come Bt, potrebbe essere apripista in Italia, dove ha il suo secondo mercato per volume di business.
Ma non è possibile che il nostro Paese sia sopra la media europea in un solo caso sui 12 obiettivi dell’agenda digitale europea. Oltre alle parole, stavolta qualche buon piano è scritto nero su bianco. Bisogna evitare di iper regolamentare in maniera autolesionista un mercato in continua evoluzione. Attiviamo le connessioni e evitiamo di staccarci la spina da soli. (Public Policy)
@ecisnetto