di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Attorno all’approvazione del decreto Aiuti alla Camera, il negoziato tra il M5s e l’Esecutivo è giunto ad un punto di incontro, che non ha costretto i grillini a rimangiarsi il dissenso sul punto più controverso, quello del termovalorizzatore romano, ma ha consentito comunque al Governo di portare a casa la norma nella sua formulazione e nel suo contenuto originari. Ciò che ha reso possibile questo accordo parziale è la norma del Regolamento della Camera, con cui si prevede che il voto sulla questione di fiducia posta dal Governo su un provvedimento, per accelerarne l’approvazione o per evitare trappole sul voto dei singoli emendamenti, sia comunque seguito da una seconda votazione finale sull’intero testo.
In questo modo il M5s ha potuto ribadire l’appartenenza alla maggioranza, votando la fiducia al Governo alla Camera e la contrarietà all’inceneritore, annunciando l’astensione o la non partecipazione al voto sulla conversione in legge del decreto prevista per lunedì a Montecitorio. Visto che ogni voto nelle aule parlamentari ha di fatto una duplice funzione – istituzionale, rispetto all’iter dei provvedimenti e politica rispetto all’opinione pubblica – l’uso di questo tipo di escamotage non serve a dissipare gli equivoci, ma a cronicizzarli e spesso a esasperarli, visto che stabilisce un equilibrio instabile, che finisce per infrangersi alla prima situazione in cui diventa tecnicamente impossibile aggirare, cioè non affrontare l’ostacolo.
Rispetto al decreto Aiuti il redde rationem rischia di giungere prestissimo, poiché al Senato, dove il provvedimento sarà affrontato la prossima settimana, il doppio voto non è previsto e il M5s dovrà votare o non votare insieme la fiducia al Governo e il provvedimento contestato. E ovviamente l’accordo alla Camera lascia impregiudicato un possibile disaccordo al Senato. L’uso delle norme – di quelle esistenti, come di quelle concepite ad hoc – per dissimulare e neutralizzare temporaneamente problemi politici irrisolti o inconfessati è abbastanza comune in Italia ed è certamente una causa del deterioramento della fiducia nel funzionamento delle istituzioni e dei processi democratici. Un po’ come se la politica non si esprimesse nelle norme, ma cercasse in esse un riparo o un’exit strategy.
A ben vedere, però, l’uso improprio di una norma non per risolvere, ma per eludere un problema politico destinato a trascinarsi per anni e a produrre imprevedibili effetti collaterali, può essere imputato anche all’escamotage utilizzato dalla maggioranza per procedere alla realizzazione del termovalorizzatore di Roma. Quindi anche chi ritiene, come chi scrive, che sia un bene che si proceda rapidamente alla realizzazione di quest’opera, in una città affogata nei rifiuti e divenuta l’immagine dell’incuria, dovrebbe riflettere sulle possibili e gravi conseguenze di un “eccezionalismo” normativo dettato dall’emergenza, ma destinato, inevitabilmente a prolungarla e non a superarla.
La norma contestata dal M5s trasferisce in capo al sindaco di Roma, come commissario straordinario del Governo per il Giubileo, le competenze in materia di gestione dei rifiuti e di realizzazione di nuovi impianti di smaltimento, che il Codice dell’Ambiente (decreto legislativo 152/2006) assegna alle Regioni, in un quadro costituzionale che peraltro riconosce loro la legislazione concorrente su questa materia. Di per sé non sembra avere molto senso assegnare al commissario per il Giubileo la realizzazione di un’opera che non sarà pronta per il Giubileo: la costruzione e messa in opera del termovalorizzatore entro il Natale del 2024 sfida il più ragionevole ottimismo. Ma evidentemente non sono stati rinvenute altre e migliori soluzioni per portare la situazione della raccolta dei rifiuti a Roma fuori da uno stallo, che però non è affatto amministrativo e quindi non può essere rimediato dall’efficientamento delle norme, anche operato in via straordinaria, ma che al contrario è tutto politico, visto che su quest’opera non esiste un consenso sufficiente nella maggioranza che sostiene il Governo della Regione.
È noto infatti che la Giunta del Lazio, presieduta dall’ex segretario del Pd Nicola Zingaretti, comprende il M5s, il cui assessore all’ambiente, Roberta Lombardi, è contraria al termovalorizzatore. Non si sa quale sia la posizione del Consiglio regionale – magari anche ampiamente favorevole – perché il Pd non può neppure verificarla, giacché sarebbe impossibile approvare una decisione di questo tipo con i voti di parte dell’opposizione senza sfasciare la maggioranza di oggi e anche quella potenziale di domani, in base all’accordo già stipulato tra Pd e M5s in vista delle prossime elezioni regionali. Da questo punto di vista, la norma sull’inceneritore non è uno sfregio al M5s, ma un meccanismo surrettizio di tutela della Giunta del Lazio, di cui il M5s fa parte.
Ma vi è un altro aspetto democraticamente sensibile che è bene sottolineare in questa vicenda, dove l’urgenza del “cosa” – la realizzazione di un termovalorizzatore in una Città, che si balocca nell’illusione di un 90% di differenziata, ma neppure raccoglie l’immondizia che si mischia nelle strade – fa passare comprensibilmente in secondo piano l’anomalia del “come”. La gestione dei rifiuti è, per definizione, un tema di dibattito e decisione democratica. Il fatto che diventi regolarmente il palcoscenico di “sceneggiate Nimby” non significa che non sia in sé uno dei principali banchi di prova della capacità di autogoverno delle comunità e di coordinamento delle istituzioni locali.
La gestione dei rifiuti è un problema politico e non solo amministrativo – una materia da leggi e non solo da ordinanze – perché saggia la responsabilità dei cittadini e quella dei rappresentanti, che essi eleggono al governo delle regioni e dei comuni. Il tema dei rifiuti è certo uno di quelli in cui il default democratico delle istituzioni politiche si manifesta più esemplarmente, nella forma dell’incapacità a decidere e dell’ostilità a qualunque cambiamento, pure manifestamente necessario per la situazione di fatto. Nascondere l’evidenza di questo default e proteggerne i responsabili dalle conseguenze attraverso una misura che consenta a tutti di rivendicare di avere tenuto le posizioni è, per usare un gergo forse desueto, democraticamente “diseducativo”.
Anziché incoronare, in deroga al Codice dell’Ambiente, il commissario al Giubileo commissario a un termovalorizzatore post-giubilare, meglio sarebbe stato, come prevede lo stesso Codice, esercitare i poteri sostitutivi del Governo nazionale nei confronti della Regione Lazio. In questo caso, però, ne sarebbe sortita una denuncia e sconfessione aperta dell’inerzia della Giunta a fronte di un grave pericolo per l’ambiente e la salute pubblica, mentre con la soluzione prevista dal decreto Aiuti si nasconde la responsabilità della Regione Lazio dietro una norma schermo, che peraltro accrescerà sicuramente i contenziosi. Molti cittadini esacerbati dalla situazione dei rifiuti fuori controllo a Roma, non si faranno troppi problemi e concluderanno che, come diceva Deng Xiaoping, “non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi”. Dunque “comunque si faccia il termovalorizzatore, l’importante è che si faccia”. Ma il problema del rapporto tra stato di diritto, razionalità normativa e funzionamento delle istituzioni democratiche è un tema che, alla lunga, non si potrà risolvere, ma semmai complicare, in una logica di perenne emergenza e con la costante manomissione dei meccanismi di imputazione della responsabilità politica. (Public Policy)
@carmelopalma