di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Le inchieste che coinvolgono il Partito democratico – da Prato a Milano, a Pesaro – sono diventate un’occasione preziosa per Giuseppe Conte, principale animatore del ‘comitato etico’ del Campo Largo. È l’ex presidente del Consiglio a decidere se l’alleanza con il Pd si può fare o no. Carte alle mano naturalmente, quelle che Conte reclama per decidere se nelle Marche si può appoggiare Matteo Ricci, europarlamentare dem e candidato alle Regionali di settembre, oggi indagato nell’inchiesta pesarese, oppure se è il caso di far saltare il Campo Largo. Con tutto quello che ne consegue.
Per esempio non è ancora chiaro che cosa stia succedendo in Campania, dove il presidente di Regione uscente Vincenzo De Luca – non più ricandidabile – prima sembrava disposto a dare il via libera all’alleanza con il M5s – ma forse era solo un’illusione ottica – poi ha iniziato a lasciar trapelare il suo disappunto, peraltro mai celato, sulla scelta di Roberto Fico, esponente dei 5 stelle, come possibile candidato del centrosinistra. Rompere l’alleanza nelle Marche avrebbe conseguenze sul resto delle elezioni regionali? Per ora dal Pd non sono arrivati sussulti. D’altronde, il dibattito non esiste. C’è soltanto la volontà della segreteria nazionale, che è quella di costruire una coalizione testardamente unitaria, anche a scapito delle volontà altrui. Conte è così unitario come Elly Schlein dice di voler essere? Oppure coglie qualsiasi occasione per dimostrare la propria alterità antropologica, la propria differenza rispetto alle difficoltà giudiziarie del Pd?
Conte non ha fatto passi in avanti sul fronte del garantismo. Ha soltanto detto che aspetterà l’interrogatorio di Ricci in programma per il 30 luglio, poi deciderà. Una sortita che ha fatto infuriare non poco Pina Picierno, che insieme a Giorgio Gori è in prima linea per dare una leadership all’opposizione riformista a Schlein: “Da ‘avvocato del popolo’ a capo del tribunale del popolo: Conte pretende di ‘leggere le carte’ sull’inchiesta che coinvolge Matteo Ricci e poi di emettere la sua personale sentenza. Il giustizialismo a corrente alternata del M5s — che difese Appendino da una condanna — ora si abbatte su un amministratore specchiato e stimato come Ricci. Un’alleanza non si costruisce sulla graticola di un presunto moralismo, e nemmeno su una presunta superiorità morale che non esiste, e proprio a nessuno è consentito di autonominarsi giudice e censore. Serietà, per favore: gli amministratori e i candidati del Partito democratico meritano rispetto!”.
Nel Pd locale tuttavia si cerca di ritrovare l’equilibrio, visto che Ricci prima della notizia delle indagini aveva recuperato molto terreno sul destra-centro attualmente regnante nella Regione. “Adesso bisogna riportare la campagna elettorale sui temi regionali, sanità, economia eccetera. Sperando che non esca più nulla”, dice una fonte del Pd marchigiano a Public Policy. Ed è per questo che Ricci sta cercando di rilanciare la sua campagna elettorale, anche con iniziative di piazza. Non sarà semplice.
Così come non sarà semplice gestire il post-Milano dopo l’avvio dell’inchiesta sull’urbanistica che ha portato, intanto, alle dimissioni dell’assessore Giancarlo Tancredi. Basti leggere le dichiarazioni tonitruanti del M5s dei giorni scorsi: “La notizia dell’ennesimo terremoto legato all’urbanistica deve essere l’ultimo capitolo della giunta Sala. Lo stillicidio di assessori e funzionari, ricordiamo le dimissioni dell’assessore alla Casa dello scorso marzo, non può che portare il sindaco Giuseppe Sala a trarre le logiche conseguenze, in quanto responsabile ultimo dell’attività comunale”, s’è affrettato a dire il capogruppo del M5s in Regione Lombardia Nicola Di Marco.
Persino l’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, oggi vicepresidente del M5s, ha chiesto il “passo di lato di Beppe Sala”. Il capogruppo al Senato Stefano Patuanelli si è poi lanciato, parlando al Corriere, in una prodigiosa distinzione: ha detto che Sala si deve dimettere anche se è solo indagato, mentre l’ex sindaca di Torino, condannata in via definitiva per omicidio colposo nell’esercizio delle sue funzioni da sindaco, no. “Per Appendino non c’era una questione morale, bensì la contestazione di un reato nell’esercizio delle sue funzioni. I nostri avversari non troveranno un caso di un amministratore pubblico che, davanti a un problema etico, non si sia dimesso. E chi non lo ha fatto è stato espulso dal M5s”. Saranno mesi molto complessi per il Pd. (Public Policy)
@davidallegranti