Trump e il nuovo nichilismo: vale tutto e il suo contrario

0

di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – “Nessuno sa negoziare come me”, ha detto Donald Trump nei giorni scorsi a una cena di finanziamento del Partito Repubblicano. Prima di sospendere (alcuni) dazi per 90 giorni. Prima di annunciare che non ci saranno (provvisoriamente) dazi su computer e smartphone. Prima di annunciare invece dazi, a breve, sui microchip. Insomma questa presunta capacità di trattativa la mettiamo insieme alla promessa “con me presidente [in Ucraina] avremo la pace in 24 ore”: in quel mondo di “fatti alternativi” – in cui un fatto vale l’altro – che l’Amministrazione Trump ha costruito fin dal 2016 in poi.

Sono dunque almeno due le risorse strategiche – dal punto di vista comunicativo e retorico – usate da Trump. Una è quella delle verità alternative, l’altra è la “insult politics”. Con Trump vale tutto e il suo contrario. Il problema però è che i fatti sono fatti e a prescindere dalle manipolazioni dell’Amministrazione provocano conseguenze tutt’altro che “alternative”. Il caso dei dazi è esemplare, nonostante la presunta capacità di Trump di negoziazione, figlia della miglior verità alternativa possibile. “Nei primi otto giorni di aprile – che includono il cosiddetto Liberation Day, mercoledì 2, ma non l’annuncio della moratoria, arrivato solo il 9 aprile in serata – gli ordini di spedizione marittima via container sono dimezzati a livello globale rispetto all’ultima settimana di marzo”, ha osservato il Sole 24 Ore: “Il crollo è stato del 49% per la precisione, secondo monitoraggi della società californiana Vizion, e addirittura del 67% se si restringe il focus alle merci dirette verso gli Stati Uniti (per quelle in uscita il calo è stato del 40%)”.

Le manipolazioni trumpiane procedono dunque spedite: viene presentato come un fatto oggettivo, indiscutibile, che le cose andranno meglio. Anche quando non è così. Ed è così che il confine fra ciò che è vero e ciò che è falso si disperde sotto forma di verità alternative nel quale ognuno si interpreta la sua come meglio gradisce. Ed è anche per questo, come ha scritto una volta Byung-chul Han che “oggi si sta diffondendo un nuovo nichilismo”. Un nichilismo che è nato nel momento in cui abbiamo perso la fede nella verità stessa: “Nell’èra delle fake news, della disinformazione e delle teorie del complotto, stiamo perdendo la realtà e le verità fattuali”. Viviamo d’altronde in un mondo nel quale c’è chi pensa che due più due non faccia quattro; un mondo nel quale chi è sufficientemente popolare da dettare qualche tendenza politica o sociale può raggiungere, via social media e social network, un potere enorme. Se l’informazione è potere, l’accesso a un mezzo di comunicazione per poterla controllare, per poter addomesticare il messaggio se non manipolarlo, è parte di quel potere (e lo sa bene Trump che infatti non gradisce che la stampa Usa faccia il suo lavoro).

Il problema è dunque duplice; da una parte c’è l’intento manipolatorio, ma dall’altra c’è anche un pubblico di lettori ed elettori disposto a credere alle manipolazioni. Lo notava già Hannah Arendt: “Le masse moderne non credono alla realtà del mondo visibile, della propria esistenza; non si fidano dei propri occhi e orecchi, ma soltanto della propria immaginazione […] Si lasciano convincere non dai fatti, neppure dai fatti inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema […] Quel che le masse si rifiutano di conoscere è la casualità che pervade tutta la realtà. Esse sono predisposte a tutte le ideologie perché spiegano i fatti come semplici esempi di determinate leggi ed eliminano le coincidenze, inventando una onnipotenza tutto comprendente che suppongono sia la radice di ogni caso. La propaganda totalitaria prospera su questa fuga dalla realtà nella finzione, dalla coincidenza nella coerenza”.

Il credito potrebbe non durare all’infinito ma nel caso di Trump per ora il presidente Usa riesce a mantenere una salda presa sui MAGA voters – gli elettori che credono in lui come si crede in una religione – anche se si sta riducendo il sostegno degli elettori in generale. Secondo un sondaggio Economist/YouGov del 5-8 aprile, quel sostegno è passato infatti dal 49 per cento, all’inizio del febbraio scorso, al 43 per cento, con il 51 per cento degli elettori che disapprova il suo operato alla Casa Bianca. E chissà che queste continue giravolte sui dazi, fatte di annunci, retromarce e imposizioni vere (o verosimili) non danneggino il Partito Repubblicano in vista delle elezioni di midterm del 2026. Nel caso di una sconfitta, i fatti alternativi servirebbero a poco. (Public Policy)

@davidallegranti