Twist d’Aula – Banche, bitcoin, concorrenza: la maggioranza è liberale?

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – “Lasciamo fare al mercato”, quando il sistema bancario è tra tutti il più controllato e indirizzato dallo Stato, non solo in Italia. “Usiamo il golden power”, che serve però a fermare acquisizioni estere mentre qui il compratore è italiano. I commenti dei ministri italiani su un possibile ruolo pubblico nella vicenda Unicredit-Bpm, oltre a essere antitetici sono poco indicativi, e diciamo poco realistici, di quale sia oggi il rapporto Stato-mercato. Piuttosto, è da altro che si può desumere l’approccio della maggioranza di centrodestra nel binomio tra liberismo o dirigismo, visto che ha entrambe le tradizioni al proprio interno. Per esempio, il ddl Concorrenza in aula alla Camera questa settimana può essere una fedele cartina di tornasole.

Il Governo Meloni ha lavorato alla sua seconda legge sulla concorrenza. Formalmente un mezzo miracolo, visto che questa legge, che dovrebbe essere “annuale” dal 2009, è stata varata solo 4 volte, di cui solo una prima del Pnrr (nel 2017). Nella sostanza, con 17 articoli su 34, interviene sulle concessioni autostradali, come richiesto da Bruxelles. Un tema delicato e scivoloso che viene regolato in modo diretto, senza necessità di atti delegati, quindi con una certa dose di apertura. Tuttavia, nei contenuti della norma non si fa differenza tra affidamento con gara e affidamento diretto e, inoltre, nonostante il limite dei 15 anni, con le possibilità di proroga vengono di fatto salvate tutte le concessioni in essere (alcune scadono nel 2064).

La legge interviene poi su temi importanti ma non determinanti come il monitoraggio dei prezzi, porzioni dei prodotti confezionati, portabilità delle scatole nere contro le frodi assicurative, definizione di start-up innovative (durante l’iter parlamentare il limite è stato fissato a 20mila euro). Su una questione sensibile, come i dehors, rinvia tutto ad un altro decreto legislativo. Un po’ come è stato fatto con le concessioni balneari. Su altri temi come trasporto pubblico locale, farmacie o servizi postali non c’è alcun incentivo alle liberalizzazioni. Sul tema maggiormente sotto i riflettori, quello dei tassisti, c’è un inasprimento delle sanzioni adottato durante la discussione in commissione. A cui si aggiungono tante altre restrizioni introdotte in altra sede.

Qualche tempo fa è stato inserito l’obbligo per gli Ncc di dover tornare in rimessa tra un servizio e l’altro. Ora il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti lavora a una circolare che stabilisce che dovranno aspettare 20 minuti dopo la chiamata per raccogliere il cliente. In questo modo l’uso delle app viene reso inutile, proprio mentre le app si avviano essere lo strumento più usato. Come riporta l’Antitrust, “questo danno per i consumatori […] sembra proteggere unicamente l’interesse degli esercenti dei taxi”. Non certo i consumatori che, dopo aver perso fiducia nella politica, cominciano ad odiare anche la categoria dei tassisti.

Si tratta di un processo, anzi di un non-processo di liberalizzazioni che nel nostro Paese ha radici lontane. A guardare all’oggi, si direbbe ostilità: il Governo vuole inserire un membro del Mef in ogni cda di azienda che riceva un contributo pubblico di almeno 100mila euro; nel ddl Capitali si interveniva sulle modalità di elezione e nomina dei cda; nella manovra si puniscono fiscalmente alcune attività (tipo i bitcoin); vengono chiesti anticipi di cassa alle assicurazioni. E si potrebbe andare avanti. L’ambasciata Usa ha fatto filtrare preoccupazione per un clima che “danneggia gli investimenti”. E infatti, chissà cosa ne pensa Donald Trump, di cui Meloni potrebbe essere l’unica amica in Europa. E chissà se l’argentino Milei ne ha parlato nel suo incontro con la premier di qualche giorno fa. E chissà se qualche politico italiano, che vuole mettere bocca sull’operazione Unicredit-Bpm, avrà il coraggio di criticare i tedeschi per l’opposizione alla scalata Commerzbank. (Public Policy)

@m_pitta

(foto cc Palazzo Chigi)