Def, Def light o Dpb: cosa cambia nella finanza pubblica

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Nella risoluzione di maggioranza approvata in Parlamento la scorsa settimana il nome del nuovo Documento non c’era, per scelta. Però quando il Consiglio dei ministri si riunirà per approvarlo dovrà decidere se chiamarlo ancora “Def, Documento di economia e finanza”, oppure “nuovo Def”, o anche “Def light” o forse anche “Documento di finanza pubblica, Dfp”. Vedremo, ma è certo che al di là di della denominazione cambiano sia le regole sia la sostanza della programmazione economica e finanziaria dello Stato. Vediamo come.

Il Documento infatti non sarà più composto da tre parti, ma di una sola. Escono il Piano nazionale di riforma e la sezione relativa ai Collegati (che erano la terza parte). Le previsioni programmatiche non saranno più riferite ad un triennio oltre l’anno in corso, ma solo a due anni. La sezione relativa al Programma di Stabilità (che era la prima nel ‘vecchio ‘Def’) si trasforma in una relazione sui progressi del Piano strutturale di bilancio – così come adeguato alle nuove regole europee.

Dopo la pausa legata al Covid sono infatti cambiate le regole di contabilità pubbliche. L’Unione europea ha ammorbidito i vincoli ‘annuali’, stringendo però quelli pluriennali. Il che, detto un po’ brutalmente, significa che per i Paesi membri sarà più difficile, o quasi impossibile, chiedere deroghe per eventi eccezionali come catastrofi o crisi economiche, visto che i programmi spalmati su più anni (sette nel caso dell’Italia) sono meno influenzati dagli eventi congiunturali. E, inoltre, le contrattazioni su quanto deficit si può fare sono meno condizionate dai rapporti politici tra il Governo di Roma e quello di Bruxelles.

Proprio in quest’ottica lo scorso autunno maggioranza e opposizione avevano concordato sull’approvare il Piano strutturale di bilancio. Uno strumento per adeguarsi al nuovo Patto di Stabilità, il quale richiede appunto un orizzonte di 4 o 7 anni (e non 3 anni come in precedenza) e vincoli inderogabili sulla spesa primaria netta (e non sul tetto al deficit da concordare con Bruxelles ogni anni). Vincoli che, a differenza del passato, non si modificano in maniera pro-ciclica se per esempio aumentano le entrate fiscale o scoppia una nuova crisi economica. Un approccio piuttosto rigoroso che ha trovato d’accordo tutte le forze politiche. Adesso invece l’accordo non c’è stato, con Azione che si è astenuta, quasi come segnale di una prima apertura a destra dopo la visita di Meloni alla manifestazione di Calenda il weekend scorso.

Le opposizioni criticano la scelta del Governo accusandolo di ‘mancata trasparenza sui conti’, di non comunicare ‘gli obiettivi di finanza pubblica’ e qualcuno denuncia che mancheranno le famose ‘tabelle’ come erano previste nel vecchio Def, dove venivano indicati gli andamenti correnti e quelli programmatici, dando l’idea già in primavera degli sforzi da fare con la manovra per restare negli obiettivi. Una critica può trovare un suo fondamento. Allargando l’inquadratura emerge tuttavia con evidenza che negli ultimi 15 anni le regole di come Governo e Parlamento costruiscono la programmazione di finanza pubblica sono cambiate innumerevoli volte, senza mai grandi successi.

Dalla legge 161 del 2009, alla modifica dell’art.81, dal cambio di nome della finanziaria in legge di Stabilità e legge di Bilancio fino a molte altre modifiche, l’aggravio di regole non ha mai impedito le consuete pratiche. Il divieto di inserire norme ordinamentali, per esempio, è stato aggirato affiancando alla Manovra altri provvedimenti temporalmente contestuali. Si è arrivati perfino al una sorta di monocameralismo alternato, visto che 7 delle ultime 9 manovre sono passate per un solo ramo del Parlamento. E nella pratica la Manovra non è più quella di una volta, visto che oggi gran parte degli investimenti (vedi il Pnrr) passa per altre strade. Viene dunque da chiedersi se uno snellimento delle procedure, tanto più se coerente con quanto prevede la (non tenera) riforma del Patto di Stabilità, possa avere senso. (Public Policy)

@m_pitta

(foto cc Palazzo Chigi – il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti)