di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – La partita delle elezioni europee è già iniziata. La primavera del 2024 sembra lontana, ma qualcosa già si intravede chiaramente. Da un lato ci sono in ballo le vicende strettamente politiche, cioè le alleanze, i candidati, gli equilibri continentali tra i partiti nazionali e i Governi degli Stati membri. Dall’altro ci sono i temi generali di indirizzo politico, le scelte strategiche, questioni economiche – e ovviamente anche la guerra in Ucraina – che probabilmente saranno l’oggetto della campagna elettorale. E dagli esiti di queste due partite di metodo e di merito, da quella che sarà la composizione e la forma delle alleanze al Parlamento Ue da un lato e la sostanza delle decisioni di Bruxelles dall’altro, dipenderà il futuro della politica nazionale.
Andiamo con ordine. La direttiva Case Green prima e il Regolamento sull’auto elettrica poi hanno messo il tema ambientale al centro del dibattito. Non tanto per un contrasto tra negazionisti alla Trump e catastrofisti alla Greta, ma perché queste decisioni creano frizioni oggettive tra il necessario processo di transizione ecologica e concreti interessi economici di primo piano. L’impatto di queste norme sarà infatti rilevante per l’intera filiera dell’automotive, per i proprietari di immobili (in Italia sono l’80%), per lo sviluppo dell’edilizia, ma anche per chi sviluppa le tecnologie dell’elettrico o chi lavora sui carburanti alternativi (ad esempio, l’Eni). E qualcosa di simile può avvenire anche per ciò che concerne l’agroalimentare (pensiamo al Nutriscore) e l’industria dell’abbigliamento (si lavora allo “stop fast-fashion”).
Insomma, su temi non proprio marginali come il mangiare, vestirsi, avere un tetto sulla testa e un mezzo per muoversi – ma c’è anche il tema energetico – l’Europa è di fronte a scelte decisive che determineranno il futuro dell’industria continentale di milioni di posti di lavoro, nonché i rapporti di forza con le altre potenze economiche del pianeta. In poche parole, la vita degli europei. Finora Bruxelles è stata l’avamposto della “sostenibilità”, tanto da guadagnarsi più di una accusa di ideologismo ambientale. Ora c’è da fare i conti con la realtà. Un po’ come avvenuto in questo anno di crisi energetica, dove abbiamo visto che di gas abbiamo ancora bisogno, che se vogliamo le rinnovabili dobbiamo costruire impianti eolici e fotovoltaici (soprattutto offshore), che i rigassificatori servono se non vogliamo rimanere senza riscaldamento.
Così alle prossime elezioni europee è possibile che il dibattito di come fare la transizione, a quale velocità e con quali compromessi possa assumere una dimensione “continentale” ed essere in qualche modo oggetto di un confronto che travalichi i confini nazionali. Sarebbe abbastanza inedito, visto che finora gli europei hanno votato con una prospettiva nazionale. C’è da dire che qualche segnale è arrivato. Il Regolamento che impone lo stop alla produzione di motori a scoppio dal 2035 ha visto spaccarsi la “maggioranza Ursula” che unisce Socialisti (che hanno votato a favore) e Popolari (che hanno votato contro). Una divisione che potrebbe diventare ancora più netta nei prossimi mesi.
Su questa spaccatura tra Socialisti e Popolari prova a infilarsi Giorgia Meloni che, da presidente dei Conservatori europei, vuole ribaltare l’alleanza “Ursula” creando un’asse tra Ecr e Ppe. Se ciò avvenisse, per esempio, le possibilità che a Roma le parti moderate della sua maggioranza slittino verso il centro si ridurrebbero al minimo. C’è da superare l’ostilità del leader bavarese della Cdu Markus Söder, timoroso per la presenza degli spagnoli di Vox nel partito dei Conservatori, ma la partita è aperta. Determinante sarà la posizione di Silvio Berlusconi sull’Ucraina, dopo che le ulteriori dichiarazioni hanno scavato un ulteriore fossato tra Forza Italia e i Popolari a Bruxelles (che lo hanno quasi emarginato). Insomma, da quell’asse – e quindi dalle posizioni sulla guerra e sull’ambiente – passa il destino delle alleanze di casa nostra.
Per avere un’idea di quale sia l’impatto della politica europea sulle vicende nazionali prendiamo solo un paio di esempi. A luglio 2019 i 5 stelle votano a favore di Ursula von der Leyen e la Lega no: passano due settimane, l’alleanza gialloverde si spacca e cade il Governo Conte 1. Meloni dal 2019 comincia a coltivare rapporti internazionali con i Repubblicani Usa prima e nel 2020 prende la guida dei Conservatori: due anni dopo entra a Palazzo Chigi. Nonostante i voti, per Salvini e Le Pen che sono nei sovranisti di Identità e democrazia vale una sorta di conventio ad excludendum. Per dirne un’altra: se nonostante i problemi caratteriali Matteo Renzi e Carlo Calenda riusciranno a creare il partito unico dei liberali, aderendo a Renew Europe, avranno qualche possibilità di mantenere l’alleanza, altrimenti il progetto abortirà prima di nascere. Che poi, dall’esito delle europee dipenderanno anche le scelte in merito al Patto di stabilità, al Fondo comune per l’industria, a nuove possibilità di debito condiviso. Come evidente, determinanti per ciascuno di noi. Il voto è dietro l’angolo. (Public Policy)
@m_pitta