di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – C’è una battaglia che sta per iniziare in Europa e non è quella dell’Ucraina. Nei prossimi mesi infatti a Bruxelles dovranno essere prese decisioni fondamentali sulle regole di finanza pubblica per i Paesi dell’eurozona, sui tassi di interesse, come anche sulla gestione dei debiti pubblici copiosamente ingrassati con la pandemia, passati in media dal 60% al 100% del Pil. Le diverse posizioni degli Stati membri, talvolta antitetiche, condizioneranno il negoziato. Ma saranno gli esiti della trattativa a condizionare il nostro futuro economico. Insomma, c’è una vera e propria campagna di primavera da affrontare.
Il primo scontro è sui tassi di interesse. Negli Stati Uniti l’inflazione ha raggiunto il 7,5%, come non accadeva da quarant’anni. Per evitare effetti di second-round sui salari non si discute del “se”, ma del “come” alzare i tassi. In Asia, invece, i prezzi sono intorno al 2%, per cui il tema non è in agenda. L’Europa, con l’inflazione intorno al 5%, si trova a metà del guado. Per due ordini di ragioni. La prima è che i rialzi sono in gran parte dovuti ai rincari dell’energia e alla scarsità fronte alle fiammate inflazionistiche (depurata da questi effetti saremmo poco sopra il 2%), per cui si potrebbe trattare di un effetto congiunturale. Anche se la minaccia si sta concretizzando. D’altra parte, nel Vecchio Continente ci sono esigenze diverse. Per esempio, un rialzo renderebbe immediatamente meno sostenibile il nostro enorme debito, mentre sarebbe una salvaguardia per i risparmiatori tedeschi, da sempre spaventati dalla “tassa occulta”.
Da qui l’atteggiamento ondivago della Bce, dove è ancora fresco il ricordo del 2011, quando un rialzo prematuro dei tassi danneggiò tutta l’economia continentale ancora ferita dallo shock del 2008, impedendo la guarigione. In ogni caso, a Francoforte è in corso una battaglia campale, con il direttivo spaccato e le opinioni dissenzienti che finiscono sui giornali. Da un lato il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, ha fatto sapere che nella riunione di marzo chiederà di “normalizzare” la politica monetaria. Dall’altro, il vicepresidente Bce, Luis de De Guindos, sottolinea che l’anno prossimo l’aumento dei prezzi dovrebbe fermarsi all’1,7%, per cui non c’è ragione di accelerare la stretta. In mezzo Christine Lagarde, generale che cambia (troppo) spesso opinione, rendendo le truppe, e soprattutto i mercati, molto irrequieti.
Insomma, decisioni esiziali ballano sul filo del rasoio. Lo stesso avverrà per ciò che concerne il programma di acquisti pandemici, che è destinato a interrompersi, ma bisogna capire a quale velocità. Quando la Bce smetterà di acquistare il debito italiano ai livelli attuali (un terzo è nelle sue mani, mentre a norma gli acquisti non potrebbero superare un livello pari al contributo al capitale, che nel caso dell’Italia è del 13,8%), probabilmente assisteremo ad una maggiore volatilità dello spread. Se a ciò dovessero aggiungersi ulteriori elementi di criticità –dalle tensioni geopolitiche a quelle energetiche, da nuove varianti del virus all’instabilità politica italiana – sarà davvero difficile mantenere la situazione sotto controllo.
La scommessa del Governo Draghi è abbassare l’impatto del debito (salito a quasi 2.678 miliardi a fine 2021) tramite la crescita. Ma per la crescita servono (anche) gli investimenti. E qui entra in gioco il secondo fronte della guerra di Bruxelles. Da marzo si apriranno le trattative per la revisione delle regole di bilancio pubblico in vigore prima della pandemia, conosciute come “parametri di Maastricht”. C’è chi vorrebbe rivederle integralmente, ma il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, ha già detto che “il Patto di Stabilità è tuttora flessibile”. Quindi ritorno ai vincoli precedenti e fine della stagione della finanza spensierata, dei bonus a pioggia e del debito in aumento. Tuttavia, possibilità di modifiche ci sono, e sono determinanti: dai tempi di rientro dal debito eccessivo all’obiettivo di scendere al 60% sul Pil. Soprattutto, forse, è il momento della golden rule, cioè lo scorporo degli investimenti dal conto del deficit.
La scelta di non procedere ad altri scostamenti di bilancio da parte del Governo, nonostante prezzi dell’energia alle stelle, risiede anche nella volontà di sedersi a quel tavolo con maggiore autorevolezza negoziale. D’altra parte, la posta in gioco è enorme. Si tratta di stabilire le regole europee del mondo post-pandemia. I Paesi frugali provano a fare cartello, ma la Germania senza Merkel coinvolta in prima linea sul fronte orientale non è forte come prima. L’asse tra Italia e Francia al momento è solido, ma al di qua delle Alpi c’è l’incognita del rapporto tra Draghi e i partiti, mentre al di là ci sono le presidenziali. Di fronte ad una scarsità di risorse e di gas in particolare, le crepe nell’Unione sono ancora più evidenti. Si preannuncia una infuocata campagna di primavera. (Public Policy)
@m_pitta