Twist d’Aula – Roma-Bruxelles, battaglia (silenziosa) sulla casa

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – È stato durante una riunione riservata dell’Abi a Firenze, prima di Natale, che il mondo bancario ha cominciato a far circolare l’alert. Se la nuova normativa europea che impone la riqualificazione energetica degli edifici entro il 2030 fosse approvata nella sua versione attuale, il patrimonio immobiliare italiano ne uscirebbe svalutato e a perderne sarebbero sia i proprietari – nel nostro Paese sette famiglie su dieci hanno una casa di proprietà – che gli istituti di credito che quegli immobili li hanno iscritti a bilancio, ce li hanno in portafoglio come garanzie sui mutui o come collaterali per i presti. Con il rischio di un corto circuito letale per il mondo bancario e poi, a cascata, per l’economia.

La direttiva EPBD all’esame della commissione Industria ed Energia del Parlamento Ue, con il voto previsto per il 9 febbraio, prevede l’obbligo per tutte le abitazioni di raggiungere una classe energetica E entro il 2030 e di salire alla classe D entro il 2023, pena limitazioni nelle procedure di vendita, affitto o erogazione di un mutuo (si tratta di vincoli da confermare, ma per esempio già in vigore in Francia e Olanda). Per questo, chi non procederà a costosi e impegnativi interventi di ristrutturazione, potrebbe vedere il proprio immobile deprezzato. E poiché i danni potrebbero non limitarsi ai soli proprietari ma produrre effetti sistemici, la polemica sta ovviamente montando.

In Italia dovrebbero essere riqualificati 9 milioni di edifici residenziali su un totale di 12,2 (dati Ance). Per cui, ammesso che la direttiva sia approvata e poi recepita nel nostro Paese, difficilmente diventerebbe effettiva. Infatti, su questi immobili si dovrebbero avviare una serie di lavori (coibentazione, infissi, caldaie) la cui spesa totale potrebbe ammontare – visto che il superbonus è costato 69 miliardi per il 5% degli edifici – a circa 1.400 miliardi di euro. Una cifra monstre, quasi tutta a carico dei privati. Anche se fosse accolta la proposta del relatore, e cioè di partire dal rinnovare il 15% del parco immobiliare più inquinante, si tratterebbe, di fatto, di qualcosa di impossibile per l’Italia.

Ora, sappiamo che gli edifici sono responsabili del 40% de consumo energetico e il 36% delle emissioni nocive. Per cui un processo di rinnovamento ed efficientamento è sicuramente necessario, più benefico per l’ambiente di tante altre usanze ora molto di moda. E sarebbe anche un volano economico, vista la comprovata capacità di generare crescita da parte del settore dell’edilizia. Tuttavia, in modo similare al blocco per le automobili con il motore a scoppio dal 2035, si tratta di una accelerazione forzata che appare molto ideologica e poco compatibile con la realtà. Le modifiche finora proposte (su cui Policy Europe ha dato notizia) sono limature che non cambiano la sostanza delle cose.

Ora, poiché si tratta di una direttiva che necessita di recepimento interno e non di un regolamento direttamente applicabile, e anche per differenze sia di tipologie immobiliari che di metodologie di classificazione energetica tra i vari Paesi, ci sono diverse zone grigie. Ed è proprio in questo solco che sta lavorando il Governo: per una maggiore autonomia decisionale degli Stati, per passare dalla logica coercitiva a quella degli incentivi, per spingere Bruxelles a finanziare parte dei lavori e ovviamente per allungare i tempi. Sul tema specifico la tattica non sembra quindi quella delle battaglie campali con Bruxelles su questioni di principio, ma del negoziato serrato e sui dettagli. Chissà che lo schema non funzioni. Magari anche su altre materie, dal Pnrr agli aiuti di Stato fino al rinnovo del Patto di stabilità. Dalle parti dell’Abi dicono di sì. E certo le banche su questo hanno esperienza. (Public Policy)

@m_pitta