ROMA (Public Policy) – La raffineria petrolifera di Gela, in provincia di Caltanissetta, rischia di chiudere. È questo l’allarme lanciato da Confindustria, riferendosi alle possibili cause che l’applicazione di alcune norme, contenute nello schema di decreto legge di recepimento di una direttiva europea sulla riduzione delle emissioni industriali, potrebbero provocare.
Nello specifico gli industriali puntano il dito contro il comma 4 dell’articolo 28 dello schema di dl che porrebbe un problema interpretativo riguardo ad una definizione sull’utilizzo dei residui di raffinazione e di conversione della raffinazione del greggio destinati all’autoproduzione di energia elettrica, “che – si legge in un documento consegnato alla commissione Ambiente della Camera nel corso di una audizione – andrebbe meglio precisata per evitare interpretazioni restrittive che determinerebbero la chiusura della raffineria di Gela”.
Nel documento si spiega che ad oggi la raffineria impiega i residui del processo di raffinazione (il cosiddetto petcoke) per produrre energie elettrica. Il 70% di questa energia viene usata per l’autoalimentazione della raffineria stessa. Questo, secondo Confindustria, consente a Gela di essere qualificata autoproduttore con un limite di emissioni di diossido di zolfo (So2) pari a 1000 milligrammi per metro cubo (mg/nmc) invece di 400.
“Se venisse data l’interpretazione che non siamo in presenza di autoproduzione, in contrasto con quello che dice la direttiva – si legge nel documento – si applicherebbero valori di emissioni molto più restrittivi che la raffineria di Gela non sarebbe in grado di rispettare, facendo quindi saltare il piano di investimenti di 700 milioni già programmato e portando con molta probabilità alla chiusura dell’impianto stesso”. L’associazione di categoria propone, rispetto alla definizione di autoproduttore, di fare “una media ponderata in relazione all’energia che viene utilizzata e quella che viene ceduta alla rete”. (Public Policy)
NAF