Perché l’economia italiana è destinata a invecchiare male

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di Marco Valerio Lo Prete

ROMA (Public Policy) – L’inverno demografico è alle porte per tutto il Continente, ma soltanto in Italia questa nuova stagione avrà il potere di accentuare praticamente tutti i vizi di una economia già sclerotizzata. La previsione in un recente studio della Banca centrale europea e l’allarme per il nostro establishment

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Con l’autunno demografico che nel nostro Paese assume sempre più le sembianze di un rigido inverno, l’economia italiana rischia nei prossimi anni di diventare – in quanto a vizi che le sono propri – addirittura “arcitaliana”. A giudicare da un recente studio della Banca centrale europea (Bce), infatti, la minore fertilità e la crescente longevità sono fenomeni che riguardano tutta l’Europa; i loro effetti economici, però – intervenendo sulle modalità di produzione della ricchezza, di gestione di fenomeni diversi quali il cambiamento tecnologico e la spesa pensionistica – aggraveranno soprattutto la situazione dei Paesi che su tutti questi fronti si trovano già in uno stadio avanzato di sclerotizzazione. È il caso dell’Italia, appunto.

Dagli scenari degli economisti dell’Istituto centrale di Francoforte emerge che le culle europee sono sempre più vuote e gli europei incanutiscono a ritmi sorprendenti. Soltanto 50 fa anni, per dire, le attese erano diametralmente opposte: “The Population Bomb” di Paul R. Ehrlich usciva in libreria e conquistava il pubblico con le sue previsioni di un mondo affamato dall’esplosione demografica. Gli abitanti dell’Eurozona – quelli che statutariamente stanno più a cuore alla Bce – sono oggi 340 milioni, diventeranno 352 milioni nel 2040, per poi scendere di nuovo a 345 milioni nel 2070 (cioè fra 52 anni). Il tasso di fertilità nell’Eurozona oggi è di 1,6 figli per donna, in futuro dovrebbe stabilizzarsi o salire appena, ma comunque rimanere distante da quota 2,1 che in natura è il tasso di sostituzione necessario a lasciare la popolazione invariata. Nel 2070, quando un europeo spegnerà la sua 65esima candelina, in media avrà davanti a sé altri 23,6 anni da vivere se è uomo e altri 26,9 anni se è donna, in entrambi i casi 5 anni in più di oggi. Saremo meno, dunque, e mediamente più anziani.

Le conseguenze di una simile evoluzione demografica influiranno sul potenziale di crescita dell’economia, da rivedere al ribasso se l’attuale tendenza non muterà. Prima di tutto perché diventeranno meno numerose le persone in età da lavoro, cioè quelle con un’età fra i 15 e i 64 anni: questa fascia di popolazione passerà dal 64,8% del totale nel 2016 al 56% del totale nel 2070. Aumenterà invece la percentuale di over 65 sul totale della popolazione in età da lavoro, il cosiddetto “indice di dipendenza degli anziani”: dall’attuale 30% al 52% fra mezzo secolo.

Rivoluzione tecnologica frenata e gerontocrazia dietro l’angolo

Per l’Italia le notizie negative non finiscono con le prospettive grame della crescita potenziale (bassa), del tasso di occupazione (basso) e del debito pubblico (alto). “L’invecchiamento potrebbe avere anche un effetto negativo sulla produttività totale dei fattori e quindi sulla produzione pro capite dei lavoratori – scrivono ancora gli economisti della Bce – Ciò potrebbe essere dovuto in parte a un rallentamento nell’adozione delle ultime tecnologie che procede di pari passo con l’avanzamento dell’età (con le statistiche che dimostrano, per esempio, una minore partecipazione dei lavoratori a training e aggiornamenti professionali via via che diventano più anziani) oppure a un deterioramento della salute dei lavoratori più anziani”. Per un sistema-Paese che è stato distanziato dai principali concorrenti anche a causa della scarsa capacità di fare tesoro del mutamento di paradigma tecnologico degli anni 90, quello fondato sulle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ecco un altro campanello d’allarme.

Sempre secondo gli studiosi della Bce, il progressivo invecchiamento e il graduale restringimento della popolazione saranno accompagnati dall’incremento della spesa per almeno tre voci del bilancio pubblico: pensioni, Sanità e assistenza di lungo termine ai più anziani. Il che “costituirà un altro fardello per la sostenibilità fiscale”. Dunque un ennesimo squilibrio in vista per l’Italia, considerato che da noi la crisi iniziata nel 2009 ha colpito in maniera più dura le giovani generazioni e che la spesa per il welfare è già squilibrata verso gli insider del mondo del lavoro e i pensionati. Senza contare che la Bce, attingendo esplicitamente alla letteratura politologica sulla “gerontocrazia”, mette in guardia dalle crescenti difficoltà di invertire la rotta sul tema: “Con l’elettore mediano che invecchia, il costo politico legato all’adozione di riforme pensionistiche è destinato a salire nel tempo, così come diventerà più oneroso l’eventuale aggiustamento che graverà sui giovani”.

Il fattore immigrazione e il fattore monetario

Nel dibattito pubblico italiano, la questione demografica è stata a lungo sottovalutata, anche per ragioni storiche e culturali legate all’esperienza del Fascismo. Tuttavia, negli ultimi anni, la natalità calante del Paese e la sua senilità rampante sono state citate quantomeno da alcuni fautori di flussi migratori più imponenti che individuano proprio nell’immigrazione una possibile panacea di questi squilibri domestici. Sul punto, invece, lo studio citato della Banca centrale europea arriva a conclusioni meno semplicistiche.

Da una parte si legge che “le proiezioni demografiche sul futuro della popolazione dipendono in maniera consistente dagli assunti sottostanti che si compiono su tassi di fertilità, aspettativa di vita e flussi migratori. Se è vero che tutte e tre queste componenti sono caratterizzate da un certo grado di incertezza, è ancora più vero che l’incertezza riguardo l’entità dei flussi migratori è la più marcata”. Inoltre la stabilizzazione e poi l’assottigliamento della popolazione europea “saranno causati soprattutto da tassi di natalità contenuti, così come da un aumento della vita media, e i flussi netti di migranti – in media – potranno soltanto mitigare l’impatto dell’invecchiamento dei popoli”. Una linea già sostenuta dallo stesso presidente della Bce, Mario Draghi: “Anche un’immigrazione attesa più numerosa di quella attuale – ha detto di recente il banchiere centrale – difficilmente potrà invertire totalmente questo declino naturale della popolazione”.

Se le prospettive e le difficoltà economiche elencate non fossero sufficienti da sé a riportare la questione demografica in cima all’agenda del legislatore nazionale, o quantomeno all’attenzione dei nostri intellettuali, ecco che dall’Eurotower giunge infine un altro avvertimento: il mutamento demografico col tempo investirà anche la politica monetaria, mutandone gli obiettivi, muovendo i tassi di interesse reali d’equilibrio e quindi restringendo temporaneamente le opzioni a disposizioni dei banchieri centrali. Da una terra incognita come quella attuale delle politiche monetarie non convenzionali, ci avventureremo direttamente in un’altra terra incognita.

Per un Paese come il nostro, che tanto deve alle scelte di Draghi, siamo di fronte una nuova spietata versione della Legge di Murphy: considerate le nostre debolezze strutturali, con questa demografia, se qualcosa potrà andare male per l’Europa, per l’Italia andrà anche peggio. (Public Policy)

@marcovaleriolp