ROMA (Public Policy) – Dalla concreta possibilità che possa effettivamente attribuirsi una competenza su tutte le materie enucleate dall’articolo 116, comma terzo, della Costituzione alle Regioni richiedenti, per cui tale scelta “applicativa desta serie perplessità”, fino all’evidenziazione che l’affidamento “di servizi a forte contenuto redistributivo, come l’istruzione e la sanità, potrebbe portare ad un indebolimento dei diritti di cittadinanza, nonché a problemi relativi all’individuazione di criteri per l’assegnazione delle risorse”. Contando anche che, in materia di procedimento, è indispensabile assicurare la centralità del Parlamento.
Sono questi alcuni rilievi contenuti nell’appunto, che Public Policy ha avuto modo di vedere, redatto dal Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, per il premier Giuseppe Conte, sugli schemi di intesa tra Governo e Regioni per l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Public Vediamo il contenuto.
NUOVE REGIONI A STATUTO SPECIALE?
Secondo il dipartimento, la scelta di richiedere tale forma di autonomia in tutte le materie nelle quali la Carta costituzionale concede la possibilità di farlo (23 materie nel caso del Veneto; 20 in Lombardia e 16 in Emilia) potrebbe portare al paradosso della “creazione di nuove Regioni a statuto speciale per il tramite delle procedure di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”. Tale norma, quindi, andrebbe interpretata, si legge nella nota di Chigi, tenendo conto “dei limiti derivanti dal combinato disposto con ulteriori norme costituzionali”.
Un altro rilievo evidenziato dal Dagl riguarda le conseguenza di un’eventuale richiesta da parte delle altre Regioni a statuto ordinario. Se fossero avanzate richieste di analogo contenuto a quello di Veneto, Emilia e Lombardia, riguardanti tutte o quasi “le materie espressamente contemplate dall’articolo 116, terzo comma, ipotesi che in linea teorica non può certo escludersi, il riparto di competenze previsto all’articolo 117 (esclusive, concorrenti, residuali; Ndr) finirebbe per essere sostanzialmente alterato, mediante la soppressione implicita della competenza concorrente, in assenza di un intervento di modifica a livello costituzionale”.
DA INIZIATIVA LEGISLATIVA REGIONI A RUOLO PARLAMENTO
Per quanto riguarda gli aspetti del procedimento di approvazione delle intese dal documento del Dagl emergono molto osservazioni. In primis secondo i tecnici di Chigi può “verosimilmente escludersi l’esistenza di un obbligo costituzionale” del ricorso ad una legge ordinaria che definisca l’iter procedimentale da seguire in caso di richieste di autonomia differenziata in quanto “l’approvazione di una legge di attuazione di rango ordinario non potrebbe, in ogni caso, ritenersi vincolante rispetto alla fonte legislativa, atipica e rinforzata, di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, ovvero la necessità che la legge che recepisce le intese sia approvata a maggioranza assoluta dei componenti del Parlamento (cosiddetta “legge rinforzata”). Il Dagl fa notare, poi, che, una volta approvate le intese in Cdm, anche le Regioni interessate potrebbero assumere “l’iniziativa legislativa, presentando alle Camere una proposta di legge sulla base dell’intesa conclusa con il Governo”.
Nel processo, comunque, va assicurato un ruolo centrale al Parlamento perchè l’applicazione dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione, “comporta l’attivazione di uno strumento di produzione normativa, ad oggi, mai utilizzato e costituito da elementi procedurali che lo rendono difficilmente comparabile con altre fonti del diritto previste dalla Costituzione”.
Nel delineare il relativo procedimento in sede di prima applicazione, dunque, “appare necessario garantire il ruolo del Parlamento, assicurando nelle diverse fasi procedurali un adeguato coinvolgimento dell’organo parlamentare, la cui funzione legislativa risulterebbe direttamente incisa dalle scelte operate nell’ambito delle intese”. Da qui, dunque, la netta presa di posizione del Dagl, secondo cui “l’emendabilità dei contenuti della proposta di legge da parte del Parlamento dovrebbe considerarsi ineluttabilmente insita nella libertà della funzione legislativa”.
RUOLO UFFICI PA CENTRALI E PERIFERICI
In merito al contenuto dello schema delle intese, il Dagl evidenzia come l’effettiva attribuzione di una tale quantità di materie alle Regioni richiedenti produrrebbe una “soppressione implicita della competenza concorrente”, se tutte le altre Regioni a statuto ordinario seguissero tale iter. Nell’immediato, comunque, la richiesta delle tre Regioni del nord potrebbe già “ripercuotersi sugli uffici e sulle strutture dell’amministrazione statale centrale e periferica, preposte allo svolgimento delle funzioni legislative e amministrative trasferite” e “occorrerebbe, in proposito, valutare, in prospettiva, il potenziale impatto che il riconoscimento di ampie forme di autonomia differenziata ad un numero crescente di Regioni di diritto comune è suscettibile di determinare sulle amministrazioni statali interessate, in termini di soppressione o ridimensionamento degli uffici e delle strutture”.
RISORSE FINANZIARIE
Infine, sul tema centrale delle risorse finanziarie, il documento riporta come gli schemi di intesa prevedano che l’attribuzione delle risorse finanziarie alle Regioni sia basata, nelle more della definizione dei fabbisogni standard per ogni singola materia, sulla spesa storica riferita alle funzioni trasferite e destinata a carattere permanente, a legislazione vigente, dallo Stato alla Regione interessata, prevedendo un meccanismo alternativo se in 3 anni non si riescono a definire i fabbisogni standard.
In particolare, tale modalità di determinazione delle risorse prevede, si legge nel documento del Dagl, “che la spesa destinata alla Regione per l’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia non possa essere inferiore al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle stesse“. Per effetto di tale metodo di calcolo e in caso di perdurante assenza dei fabbisogni standard, “le Regioni destinatarie di autonomia differenziata, che dovrebbero almeno di norma essere Regioni ‘virtuose’ nei settori in cui richiedono le più ampie condizioni di autonomia, riceverebbero, per mero effetto del decorso di tre anni, un ammontare di risorse pari almeno al valore medio nazionale pro-capite della spesa statale, e quindi presumibilmente maggiore della spesa storica di riferimento per quella Regione”.
Un tal modo di procedere “implicherebbe un ingiustificato spostamento di risorse verso le Regioni ad autonomia differenziata”. Ponendo a rischio i principi di coordinamento della finanza pubblica, perequazione territoriale e equilibrio di bilancio. In sostanza, dunque, “pare evidente che un complessivo aumento della spesa statale per l’esercizio delle funzioni oggetto di autonomia differenziata contrasti, evidentemente, con la clausola di invarianza finanziaria”.
Per i tecnici di Chigi, infine, è necessaria “una riformulazione della disposizioni emanande e delle conformi intese che, fermo restando gli obblighi relativi alla determinazione dei fabbisogni standard gravanti sullo Stato, individui nella minor somma tra il costo storico e il valore medio nazionale pro-capite della spesa statale per l’esercizio delle funzioni oggetto di trasferimento l’ammontare delle risorse da assegnare alle Regioni ad autonomia differenziata, anche nell’ipotesi in cui, trascorsi tre anni dall’entrata in vigore dei decreti attuativi, non siano stati ancora definiti i fabbisogni standard”.