Se la campagna elettorale diventa un invito all’astensione

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Fra poco più di un mese – 25 settembre – si vota e la campagna elettorale volge al peggio. Si dirà: ma tutte le campagne elettorali sono così. Brutte e sporche. Sarà, ma mai come stavolta l’elettore in cerca di partiti da votare sembra essere spaesato. A costo di apparire cioraniani, venati da un pessimismo cosmico, viene da chiedersi se questa campagna elettorale non sia un trasversale invito all’astensione.

L’ultima settimana è stata terribile per il Pd, che ha lanciato nella mischia quattro under 35 piazzandoli in posti blindati. Si è però scoperto che due su quattro – Raffaele La Regina, 29 anni, e Rachele Scarpa, 25 – hanno posizioni fortemente ostili nei confronti di Israele, per non dire apertamente antisioniste. Ne è nato un caso politico, a partire dalle dichiarazioni di La Regina sulla “legittimità” di Israele in alcuni post sui social (uno del 2020). La Regina, segretario regionale del Pd Basilicata, è stato costretto a ritirarsi e al suo posto è stato candidato Enzo Amendola, rimasto fuori dalle liste. Il Pd ha dimostrato una certa ingenuità nella selezione delle candidature, non fosse altro perché non ha sottoposto i profili social a un accurato vaglio e poi ha lasciato questi candidati in balia degli eventi, in una campagna elettorale sanguinosa per sua natura. Ma il Pd non è l’unico ad avere problemi con le candidature.

Il Terzo polo presenta qualche perplessità soprattutto nel Mezzogiorno, dove in Puglia candida un ex sostenitore di Michele Emiliano, Massimo Cassano, già italo-forzuto. In Basilicata dal Pd arrivano pure i fratelli Pittella, Gianni e Marcello, quest’ultimo candidato. E nel centrodestra? Pure qui le piroette non mancano. Come osserva Luciano Capone su Twitter, “dieci anni fa, Mario Draghi era da poco diventato presidente della Bce, l’economista di sinistra Alberto Bagnai profetizzava ‘Il tramonto dell’Euro’. Ora, dopo essere entrato in Parlamento con la Lega e aver appoggiato il Governo Draghi, Bagnai non parla più di uscita dall’euro”. L’opportunismo insomma potrebbe segnare più di altre volte una stagione politica. Prendiamo Luigi Di Maio che si candida addirittura con il centrosinistra, addirittura con Bruno Tabacci. Proprio chi fino a pochissimi anni fa inveiva contro il Pd chiamandolo “partito di Bibbiano”. E che dire di Giuseppe Conte, che la settimana scorsa ha fatto votare un blindatissimo listino di quindici persone a lui fedeli che saranno senz’altro elette. Tra questi l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino e l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Con queste elezioni è caduto anche il divieto di pluricandidature, ennesimo paletto abbattuto dai 5 stelle. Conte sarà candidato in più circoscrizioni.

È insomma una campagna elettorale poco credibile, come dimostra anche la sortita di Conte sul suo futuro politico: “Mi auguro di governare da solo ma questo dipende dai cittadini. Realizzare un monocolore diventa un po’ improbabile, quindi, la prospettiva, domani, di dover lavorare con altre forze politiche, a partire dal Pd, ci può stare”. Ma come, tutto  già dimenticato? In effetti, in Italia c’è una memoria politica di qualche ora. Ve lo ricordate, per dire, Mario Draghi? È passato un mese dalle sue dimissioni in Senato, ma sembra passato un secolo. Un mese dal suo discorso di addio, quando invitò i parlamentari a essere responsabilI. “All’Italia non serve una fiducia di facciata, che svanisca davanti ai provvedimenti scomodi. Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che si è poi affievolito?”. La risposta, come noto, è stata no: “Sono qui, in quest’aula, oggi, a questo punto della discussione, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti gli italiani”.

I giornali non parlano più quotidianamente di lui, ormai è tutta campagna elettorale, tra liste del Pd, parlamentarie del M5s e costosi programmi di centrodestra. Ma alla sua agenda – l’agenda Draghi – fanno riferimento in diversi, compresi gli azionisti del Terzo polo. Naturalmente sono scuse. Siccome non ci sono più adeguate sovrastrutture ideologiche, si ricorre alle agende.  E ai risultati del suo Governo, rivendicati da Draghi al momento dell’addio: “Lo scorso anno l’economia è cresciuta del 6,6% e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali.

La stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza, approvato a larghissima maggioranza da questo Parlamento, ha avviato un percorso di riforme e investimenti che non ha precedenti nella storia recente. Le riforme della giustizia, della concorrenza, del fisco, degli appalti – oltre alla corposa agenda di semplificazioni – sono un passo in avanti essenziale per modernizzare l’Italia. A oggi, tutti gli obiettivi dei primi due semestri del Pnrr sono stati raggiunti. Abbiamo già ricevuto dalla Commissione europea 45,9 miliardi di euro, a cui si aggiungeranno nelle prossime settimane ulteriori 21 miliardi – per un totale di quasi 67 miliardi”.

C’è chi spera che il presidente del Consiglio dimissionario torni. Ma a dire il vero c’era anche qualcuno che pensava di poterlo mettere a capo di un partitino alla Mario Monti. Ma dopo un mese, di fronte a questa campagna elettorale breve ma non eccellente, diciamo, sentivamo il bisogno delle elezioni anticipate? Forse no. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto Daniela Sala / Public Policy)