di Francesco Ciaraffo
ROMA (Public Policy) – Che fine ha fatto il decreto sul dibattito pubblico? Il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ne aveva annunciato il ‘licenziamento’ lo scorso 14 giugno. “Sembrava impossibile in Italia, oggi è realtà”.
“Le opere – aveva detto allora il ministro – devono essere utili e condivise dai territori, perché sono a servizio delle comunità. I territori debbono comprendere che attraverso le connessioni si sviluppano economia e opportunità di lavoro. Quindi infrastrutturare un aeroporto, portare una linea ferroviaria significa creare sviluppo. Ovviamente queste opere vanno discusse con i territori, vanno accettate dalle comunità, perché sono al servizio delle comunità. Regolare il dibattito pubblico in Italia sembrava impossibile oggi è realtà perché il decreto è stato firmato. è la dimostrazione che non abbiamo paura delle nostre comunità, dei nostri cittadini. Loro hanno una intelligenza che ci può aiutare a migliorare le opere. Lo abbiamo fatto sbloccando il passante di Bologna, lo faremo in tutte le opere che hanno una rilevanza strategica”.
Ma da allora, da quel 14 giugno, se ne sono perse le tracce.
Il decreto, che rientra nel nuovo Codice degli appalti, punta a introdurre nel nostro sistema il dibattito pubblico, sulla scia di quanto già avviene in Francia. Il dpcm, come illustrato dallo stesso Delrio, prevede il confronto pubblico obbligatorio per opere tra i 200 e 500 milioni di euro a secondo della tipologia di intervento.
Lo è, obbligatorio, anche su richiesta delle amministrazioni centrali (presidenza del Consiglio e ministeri), degli enti locali (un Consiglio regionale, una Provincia, una Città metropolitana, un numero di Consigli comunali rappresentativi di almeno 100mila abitanti) o dei cittadini (almeno 50mila elettori). Il proponente è sempre libero di aprire un dibattito pubblico quando lo ritiene necessario. Il proponente, terminato il dibattito pubblico, ha tre mesi di tempo per presentare un proprio dossier conclusivo in cui evidenzia: la volontà o meno di realizzare l’intervento, le eventuali modifiche apportate al progetto e le ragioni che hanno condotto a non accogliere eventuali proposte.
In base a quanto ha ricostruito Public Policy, il testo si trova attualmente al Mit, dove è tornato dopo circa due mesi di esame da parte del Dagl, il Dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi. Che ha evidenziato la necessità di alcune correzioni. E su queste è al lavoro il Mit.
Ma cosa ha chiesto il Dagl? Si tratta per lo più di correzioni procedurali. In primo luogo un altro passaggio con la Conferenza unificata, con il Mise e con i dipartimenti degli Affari regionali e della Funzione pubblica. Su questo passaggio il Mit spera di fare presto (l’indicazione è quella di una settimana). Mentre in Conferenza unificata il provvedimento potrebbe essere discusso il 23 novembre.
Mibact e ministero dell’Ambiente, invece, come risulta a Public Policy, hanno espresso il proprio parere. L’obiettivo di Mit e Dagl é di inviare il testo contestualmente al Consiglio di Stato e alle commissioni parlamentari entro la fine di novembre. (Public Policy)
@fraciaraffo