(Public Policy) – Roma, 31 ott – La Camera, questa mattina,
ha approvato definitivamente, dopo quattro passaggi
parlamentari, il ddl anticorruzione.
Ecco, in sintesi, i punti principali del testo.
L’ITALIA E GLI STANDARD INTERNAZIONALI
L’intervento normativo nel settore dei reati contro la
pubblica amministrazione e dei reati societari – si legge
sul sito del ministero guidato da Paola Severino – “si muove
nella direzione di rafforzare l’efficacia e l’effettività
delle misure di contrasto al fenomeno corruttivo, puntando
ad uniformare l’ordinamento […] alle indicazioni
provenienti da strumenti sovranazionali di contrasto alla
corruzione già ratificati dal nostro Paese (Convenzione Onu
di Merida e Convenzione penale sulla corruzione di
Strasburgo)”.
IL REATO DI CONCUSSIONE
Le modifiche introdotte hanno come obiettivo una
precisazione “delle condotte ora previste dall’articolo 317
del codice penale (punite con una pena da 4 a 12 anni […]
limitandolo alla sola ipotesi in cui la condotta concussiva
abbia determinato un effetto di costrizione nei confronti
del privato da parte del pubblico ufficiale che, in virtù
dei suoi poteri autoritativi, è in grado di determinare il
metus publicae potestatis (timore del pubblico potere; NdR)”.
La pena minima, in questo caso, è aumentata dagli attuali 4
anni a 6, rimanendo invariata la misura massima (12 anni).
Le condotte di induzione oggi previste dall’articolo 317
c.p. “sono fatte confluire in una fattispecie denominata
‘Indebita induzione a dare o promettere denaro o altra
utilità’ (articolo 319 quater c.p.). In questo caso i
soggetti attivi sono tanto il pubblico ufficiale quanto
l’incaricato di pubblico servizio e la punibilità, oltre che
per costoro (da un minimo di tre a un massimo di otto anni)
è prevista anche per il privato che, non essendo costretto,
ma semplicemente indotto alla promessa, mantiene un margine
di scelta criminale che giustifica una pena (fino a tre
anni)”.
IL REATO DI CORRUZIONE
In questo caso “gli interventi normativi riguardano la
sostituzione dell’attuale articolo 318 c.p. relativo alla
corruzione per atto conforme ai doveri d’ufficio con la
nuova fattispecie di ‘Corruzione per l’esercizio della
funzione’ (pena da un minimo di 1 a un massimo di 5 anni)”.
Si prevedono poi “aumenti di pena per i reati di
‘Corruzione in atti giudiziari’ (la pena prevista per
l’ipotesi base passa da tre-otto anni a quattro-dieci,
mentre per la forma aggravata si aumenta la pena minima da
quattro a cinque anni), di ‘Corruzione propria’ (da quattro
a otto anni rispetto agli attuali due-cinque), di ‘Peculato’
(la pena minima passa da tre a quattro) e di ‘Abuso di
ufficio’ (dagli attuali sei mesi-tre anni si passa da uno a
quattro anni)”.
IL TRAFFICO DI INFLUENZE
Introdotto nel codice anche il delitto di ‘Traffico di
influenze illecite’, “previsto dall’articolo 346 bis c.p (da
uno a tre anni di reclusione)”. La previsione contempla “la
punibilità tanto di chi si fa dare o promettere denaro o
altra utilità, quanto di chi versa o promette con
riferimento ad un atto contrario ai doveri dell’ufficio o
all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio”.
LA CORRUZIONE TRA PRIVATI
Il ddl rivede anche l’attuale articolo 2635 c.c. “rubricato
‘Corruzione tra privati’ (pena da uno a tre anni di
reclusione)”. Le modifiche incidono “sulla platea degli
autori, includendo tra i soggetti attivi accanto ad
amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla
redazione dei documenti contabili societari, sindaci e
liquidatori, coloro che sono sottoposti alla direzione o
vigilanza di questi ultimi”.
Si procede inoltre d’ufficio nel caso in cui vi sia “una
distorsione della concorrenza nell’acquisizione di beni e
servizi (non più solo su querela di parte) e si prevede la
riferibilità della dazione o promessa di denaro o altra
utilità non solo ai soggetti attivi ma anche a terzi”.
I MAGISTRATI FUORI RUOLO
Il ddl introduce un limite temporale massimo (10 anni
complessivi) per “l’espletamento di incarichi
extragiudiziari dei magistrati (ordinari, amministrativi,
contabili) e degli avvocati dello Stato”.
PENE ACCESSORIE E CONFISCA
Sul primo versante, il ddl interviene sull’articolo 317 bis
c.p., “ampliando il catalogo delle ipotesi di reato, alla
cui condanna consegue l’interdizione perpetua dai pubblici
uffici”. Sul fronte della confisca, il testo approvato oggi
modifica l’articolo 322 ter dove “si fa attualmente
riferimento al solo prezzo e non anche al profitto
allineando così pienamente la disciplina interna al diritto
dell’Unione europea”.
IL RESPONSABILE DELLA PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE
Sarà un dirigente di prima fascia, e negli enti locali, di
norma, il segretario comunale o provinciale. Ha l’obbligo,
sotto la propria responsabilità, di predisporre il piano che
deve individuare le aree esposte a rischio corruzione, il
livello di esposizione e i meccanismi di prevenzione,
verificando l’attuazione del piano e la rotazione degli
incarichi negli uffici in cui il rischio è più elevato. Il
responsabile può essere chiamato a rispondere per “danno
erariale e per danno all’immagine della pubblica
amministrazione in caso di commissione, all’interno
dell’amministrazione in cui opera, di un reato di corruzione
accertato con sentenza passata in giudicato”.
SUL VERSANTE DELLA TRASPARENZA
Le amministrazioni sono adesso obbligate a “pubblicare sui
propri siti istituzionali anche i bilanci e i conti
consuntivi, oltre i costi di realizzazione delle opere
pubbliche e di produzione dei servizi”.
NIENTE INCARICHI PER I CONDANNATI
Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non
passata in giudicato, per reati contro la pubblica
amministrazione, “non possono fare parte di commissioni
giudicatrici, non possono essere assegnati agli uffici che
gestiscono risorse finanziarie e non possono fare parte
delle commissioni per la scelta del contraente negli appalti
pubblici”. Il Governo è inoltre delegato ad adottare uno o
più decreti legislativi al fine di predisporre una
dettagliata disciplina dei casi di non conferibilità degli
incarichi dirigenziali.
IL WHISTLEBLOWING
Anonimato per chi segnala illeciti nella pubblica
amministrazione: l’identità di chi segnala illeciti “non può
essere mai rilevata, nell’ambito del procedimento
disciplinare, quando l’addebito sia fondato su accertamenti
distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione”. (Public
Policy)
GAV