di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Luigi Di Maio ha fatto un’ottima impressione a Josep Borrell. E, forse – almeno questo dice il Governo Meloni – anche a Mario Draghi, che aveva segnalato l’ex ministro degli Esteri come candidato giusto per la carica di inviato speciale per il Golfo persico. L’ex capo del M5s, già fondatore di un partitino che è riuscito a portare in Parlamento Bruno Tabacci e non lui, nonostante il suo curriculum magniloquente (già vicepresidente del Consiglio, già ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, già ministro degli Esteri…), è stato indicato per un incarico molto delicato. Si dovrà occupare per conto dell’Unione, delle relazioni con Paesi come gli Emirati arabi uniti e l’Arabia saudita.
Il Governo di destra-centro tuttavia è contrario alla nomina, pur non potendo farci niente. Può limitarsi, attraverso suoi esponenti, a bombardare la scelta di Borrell: “L’ipotesi di Borrell, alto esponente Ue, che definisce Di Maio adatto a fare il rappresentante europeo nel Golfo è assurda e vergognosa”, dice il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri: “Squalifica chi la propone e l’Unione europea stessa. Di Maio è del tutto inadeguato. Il solo fatto di prenderlo in considerazione mette nel ridicolo chi lo fa. Basta con questi incapaci acchiappa poltrone. Manlio Di Stefano, grillino, ex sottosegretario, avrebbe avuto un incarico violando le leggi sul conflitto di interessi. E ora Di Maio ambisce a ruoli che non è in grado di svolgere. Chi può impedisca questo sconcio. Lo diremo in tutte le sedi. Il Golfo richiede persone serie non nullità come Di Maio”.
L’eventuale coinvolgimento di Draghi (nella foto con l’ex leader M5s) – ma l’accusa è del Governo attuale, quindi va accolta con adeguati dubbi – certo suscita qualche perplessità. Di Maio, che viene esaltato dal centrosinistra perché, si dice, è uno che è migliorato, che ha persino studiato, non sembra certo appartenere alla categoria di leader ben descritta nell’ultimo libro di Antonio Funiciello, già capo di gabinetto di Draghi, “Leader per forza”. “Una leadership forte è quella di chi attraversa un deserto trasformativo, guidando i propri seguaci verso una meta condivisa”, scrive Funiciello. Di Maio, per ora, è riuscito soprattutto a trasformare sé stesso.
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)