di Leopoldo Papi
ROMA (Public Policy) – I dazi annunciati da Donald Trump il 2 aprile hanno scatenato reazioni violente. I mercati finanziari da due giorni registrano pesanti perdite. La Cina ha annunciato oggi tariffe su tutte le importazioni dagli Stati Uniti speculari a quelle americane, fissate al 34%. L’Unione europea sta preparando a sua volta una risposta al dazio del 20% su tutte le esportazioni europee verso l’America.
Il presidente americano ha qualificato le nuove barriere doganali come misure di reciprocità rispetto a quelle che, a detta della sua amministrazione, i paesi destinatari applicherebbero agli Stati Uniti. Ma il metodo con cui tali tariffe sono state quantificate ha suscitato sconcerto e forti contestazioni da parte di economisti ed esperti. Più in generale, ci si interroga sulle conseguenze dell’operazione avviata da Trump nel ridefinire, o destabilizzare, il sistema commerciale e finanziario internazionale.
Public Policy ne ha parlato con Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista, docente alla SDA Bocconi school of management.
D. Partiamo dalla tabella dei dazi reciproci presentata da Trump. La può commentare, spiegandone il senso?
R. Quella tabella è intanto un assurdo economico e logico, perché non si tratta di dazi reciproci: si basa su una formula matematica surreale, che determina i ‘dazi’ imposti dagli altri rapportando il deficit commerciale rispetto a un Paese al volume di importazioni da quel Paese, e lo divide per due per stabilire il dazio reciproco. È un’operazione senza senso, funzionale all’ipotesi di fondo di tassare chiunque abbia un surplus commerciale verso l’America.
David Ricardo si starà rivoltando nella tomba, perché quella tabella nega l’esistenza stessa dei vantaggi comparati: se gli americani sono bravi a fare software e i vietnamiti a fare le scarpe, non ha senso che i vietnamiti si facciano in casa Google, e gli americani le Nike. Ma il sottinteso generale di questa forma barbara di interpretazione economica è l’autarchia: azzerare qualsiasi forma di sbilancio commerciale, e tornare a farsi tutto internamente. Gli americani, secondo quella tabella dovranno tornare a cucire le scarpe, tagliare le magliette, e farsi il parmigiano nel Wisconsin e le auto nell’Alabama. Che facciano poi gli stessi prodotti di una Lamborghini o del parmigiano reggiano lo lascio valutare ai consumatori americani, ma è senz’altro un assurdo economico.
D. Quale può essere l’impatto sull’ordine commerciale internazionale e quali i rischi?
R. L’annuncio dei dazi produce immediatamente incertezza, e l’incertezza ha un impatto immediato su investimenti e prezzi dei titoli finanziari. Quando c’è incertezza scendono i valori delle azioni e degli investimenti e il mondo intero perde un pezzo di produttività. Il danno è quindi già cominciato con l’annuncio dei dazi. La loro articolazione produce poi danni ulteriori. Qui non si tratta di controversie commerciali specifiche, che normalmente verrebbero risolte nel WTO, ma per le quali, in linea teorica, potrebbe essere spiegata in termini razionali l’adozione di un dazio. Stiamo invece parlando di dazi contro tutto il mondo.
Quali sono gli effetti? Che il primo prezzo lo pagano le imprese americane, che vedono completamente devastate le loro supply chain, le quali sono distribuite globalmente. In un contesto in cui le lavorazioni in una stessa catena di fornitura entrano ed escono continuamente anche più volte dal Paese, si crea un effetto cumulato dei dazi assurdo per centinaia di miliardi di dollari, che danneggia la competitività dell’economia americana. Il secondo soggetto a pagare il prezzo dei dazi è il consumatore americano, che ovviamente subisce una tassa. La terza vittima sono i Paesi delle imprese che vengono colpite dai dazi: l’Europa, la Cina, il Giappone, il Vietnam, tutto il mondo. In generale i dazi di Trump sono sabbia gettata negli ingranaggi del motore dell’economia globale, che senza alcun raziocinio ne danneggia la crescita.
D. Quale dovrebbe essere la risposta?
R. La strada giusta non è rispondere con altri dazi. Piuttosto, facendo valere il concetto di reciprocità utilizzato dallo stesso Trump per introdurli, la risposta giusta sarebbe abbassarli. Per reciprocità dovrebbe allora farlo anche l’America. Andiamo al “vedo” della partita: se azzeriamo i dazi sulle Harley Davidson, allora devi farlo anche tu. Questo sarebbe il modo più coerente per sfidare Trump, ammesso che lui abbia qualche coerenza, il che non sembra la sua specialità. In generale, i dazi non sarebbero la strada giusta, perché sono comunque una tassa, che pagherebbero gli europei. L’Europa deve piuttosto chiudere gli accordi col Mercosur togliendo i dazi, fare lo stesso nell’ambito dello sviluppo degli accordi con l’India, e probabilmente dovrebbe sedersi con la Cina, con occhi laici e pragmatismo, cercando un accordo di libero scambio che garantisca il rispetto della proprietà intellettuali ed eviti sussidi impropri.
D. Che effetti possono avere questi dazi sul ruolo del dollaro come valuta di riserva globale?
R. Questa è la domanda da mille pistole. Il convitato di pietra in questa vicenda è senz’altro il dollaro e la politica monetaria. In teoria, quando un Paese mette un dazio, la sua valuta si rafforza sulle altre, per effetto di una parziale compensazione: semplificando a titolo di esempio, se l’America mette una tariffa del 10% sulle auto cinesi, e lo yuan si svaluta del 5%, l’effetto netto della tariffa è del 5%. La rivalutazione del dollaro dipende però dalla forza dell’economia americana, e lo scenario cambia se l’economia subisce un trauma e va in recessione. Un conto è mettere un dazio mirato sull’alluminio cinese, che per quanto importante non cambia l’economia.
Ma se metti invece tariffe su tutto il mondo, l’effetto probabile sull’economia è una recessione. In tal caso il dollaro si indebolisce, e chi vuol tenere le riserve mondiali in una moneta che si svaluta? Circa 8,5mila miliardi di debito pubblico americano sono in mano al resto del mondo: tipicamente treasury-bills, in mano occidentale, cinese, giapponese e altri. Ma chi tiene i t-bills con un dollaro che si svaluta? Piuttosto li vendo e compro oro, o bitcoin se proprio voglio fare un atto di fede, o magari compro titoli dell’area euro o giapponesi. E’ possibile quindi che vengano ricercate forme di riserva di valore alternative al dollaro, perché l’attuale amministrazione americana non è più considerata credibile nell’interpretare il ruolo di pilastro della stabilità finanziaria e economica internazionale.
D. Quali gli effetti politici di un riassetto del genere?
R. L’effetto è che l’America veda messo in discussione il proprio ruolo di superpotenza globale. Sta già accadendo. Chi vorrà comprare le tecnologie americane se Trump può spegnere arbitrariamente i satelliti Starlink di Musk, oppure i servizi cloud, o i sistemi di pagamento bancario Swift e i circuiti Mastercard e Visa? Non solo il dollaro, che ne è il simbolo, ma tutti questi fattori rappresentano l’asset class del soft power e dell’hard power su cui si fonda la stabilità americana, nella quale dal 2 aprile si è aperta una crepa strutturale. Chi può sostituire questo ruolo? In questo momento ci sono solo due attori: la Cina e l’Europa.
L’Europa deve prendere atto con pragmatismo della necessità di crescere e uscire dallo stato di subalternità in cui si trova da 80 anni rispetto agli americani. Abbiamo la forza per ottenere un ruolo di complementarietà. Non penso che il dollaro smetterà di essere moneta di riserva ma potrebbe non essere più la principale e l’unica, insieme all’Euro e allo Yuan. L’Euro digitale da questo punto di vista può essere, come ricordato da Piero Cipollone, la risposta più importante che l’Europa può dare ai dazi di Trump. Potrebbe a questo punto candidarsi a diventare moneta di riserva, non dico in sostituzione del dollaro, ma certamente nell’occupare gli spazi che il dollaro non occupa più, diventando un riferimento stabile negli scambi internazionali. Il vantaggio della ‘debolezza europea’ è che a Francoforte, non comanda nessuno: la Bce si è affermata come entità con una forte indipendenza dalla politica. (Public Policy)
@leopoldopapi