Il fallimento politico della decretazione d’urgenza

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – L’abuso della decretazione d’urgenza è una piaga politico-istituzionale nota, anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, già intervenuto in passato in difesa dell’autonomia del Parlamento.

Pochi giorni fa il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha ammesso che il disegno di legge “Sicurezza” è stato trasformato in un decreto legge per dare “tempi certi” alla sua approvazione: “La maggioranza agisce con una decretazione d’urgenza – dice a Public Policy la filosofa del diritto e direttrice di Altro Diritto, Sofia Ciuffoletti – dopo aver fallito nella discussione parlamentare”.

“La decretazione d’urgenza si fa in urgenza e quando è impossibile – per casi straordinari di necessità e di urgenza, appunto, come dice l’art.77 Cost. – portare avanti un lungo dibattito parlamentare”, prosegue Ciuffoletti: “Qui invece il potere di decretazione d’urgenza è assunto senza il carattere dell’urgenza, impossibile da rinvenire, visto che siamo andati avanti per un anno e mezzo con la discussione parlamentare sulle stesse norme che sono oggi traslate nel decreto legge. Così si modifica geneticamente il significato della decretazione d’urgenza, relegandola cioè a una sorta di cerotto che si mette sul pastrocchio fatto in Parlamento allo scopo di imporre interventi correttivi (se così vogliamo chiamarli) senza aprire a emendamenti dell’opposizione”.

Si arriva dunque a questa scelta non a causa dell’impossibilità di una lunga discussione in Parlamento, che non permetterebbe insomma di agire tempestivamente su una problematica di straordinaria necessità e urgenza, “ma piuttosto dopo il fallimento politico-parlamentare, quindi il fallimento delle varie forze che compongono la maggioranza che queste norme ha proposto, che non sanno negoziare e comporre le voci, non sanno trovare appunto un consenso politico dato dalla negoziazione dei significati delle norme che si vogliono introdurre. Il dibattito parlamentare serve a questo, lo sanno studentesse e  studenti universitari al primo anno di giurisprudenza: il Parlamento inevitabilmente rimastica e metabolizza e quindi cambia in parte le intenzioni iniziali della maggioranza”.

“Ma è così che si fanno le leggi – evidenzia Ciuffoletti – cioè questo è il senso della composizione del pluralismo delle idee, solo così le leggi hanno una qualche chance di sopravvivenza. La politica come atto di forza esiste se la forza la si ha (e ricordiamo che lo stato di diritto nasce per proceduralizzare la forza) e spesso nasconde la debolezza delle idee, ma in ogni caso trova un limite nelle forme previste (in questo caso per la decretazione d’urgenza) nella Costituzione. Data quindi la propria inabilità, il Governo si inventa il decreto legge. Norme così prodotte sono destinate a vita breve e travagliata, esposte al contenzioso giuridico-costituzionale”.

Insomma, ribadisce Ciuffoletti, “la nostra decretazione d’urgenza ha delle caratteristiche che costituiscono il Dna genetico-costituzionale di una misura che permette appunto di bypassare la discussione. Il fatto che in questo caso si intervenga con un decreto legge fotocopia di un ddl che non si è riusciti a far passare in Parlamento per un anno e mezzo, per inabilità politica a comporre le voci anche quelle interne alla stessa maggioranza – e la politica vuol dire questo: saper comporre le voci – è una dichiarazione di fallimento politico e culturale”. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)