Il nervosismo di Meloni

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Il nervosismo di Giorgia Meloni inizia a farsi vedere. La presidente del Consiglio al suo primo anno di Governo coglie l’occasione per rispondere ai retroscena giornalistici delle ultime settimane anziché sorvolare, come qualcuno le ha consigliato di fare. “La preoccupazione sullo spread la vedo solo nei desideri di chi immagina che un Governo democraticamente eletto, che ha una maggioranza forte e che ha una solidità e sta facendo il suo lavoro, debba andare a casa per essere sostituito da un Governo che nessuno ha scelto”, ha detto la presidente del Consiglio, di fatto accreditando le voci di un possibile cambio di esecutivo qualora la legge di Bilancio fosse un disastro o l’emergenza migranti aumentasse o chissà qualche altro scenario spread-centrico.

La leader di Fratelli d’Italia e del Governo insomma espone il fianco alle critiche di chi l’accusa di vedere complotti ovunque, anche laddove non ci sono. È il segnale che Meloni si sente politicamente sotto pressione non soltanto per le sortite di Matteo Salvini, alleato-competitor, ma anche perché “la primavera tarda ad arrivare”, per dirla con Franco Battiato. La primavera dei risultati di Governo. I fronti dell’esecutivo sono diversi ma spiccano la questione dei migranti – rinverdita costantemente anche dallo stesso Salvini – e le complicazioni della legge di bilancio, che potrebbero essere riassunti così: non vi sono abbastanza quattrini per accontentare le richieste di tutti i partiti della maggioranza. Fin qui la risposta di Meloni alle critiche è stata simile in tutti i contesti: è in corso un attacco al governo, che è scomodo per i poteri forti, eccetera, eccetera.

Il problema è che così la presidente del Consiglio non vede gli innegabili disequilibri che si sono venuti a creare nell’ultimo anno fra la sua figura, che continua a essere premiata nei sondaggi di gradimento, e il resto della coalizione. Evocare costantemente il complotto può essere un limite, perché in questo modo viene data molta importanza, per non dire troppa, a ipotesi giornalistiche che diventano veritiere o verosimili nel momento in cui tutti iniziano a parlarne costantemente.

Il Governo Meloni sta privilegiando la via dell’autoaccerchiamento. Lo dimostrano anche certe vicende Rai, compresa quella scoppiata nel fine settimana con il caso Fedez. L’influencer, che peraltro è stato ricoverato per un’emorragia interna, era stato invitato al programma “Belve” di Francesca Fagnani ma la dirigenza della Rai ha detto no: “È vero che la dirigenza Rai non l’ha ritenuta opportuna. Non condivido questa decisione né Belve del resto ha mai tolto voce a nessuno. Magari non finirа così”, ha spiegato la giornalista.

È un ulteriore segnale della difficoltà del Governo a gestire politicamente il dissenso. Senza evocare governi tecnici, l’opposizione potrebbe approfittarne ma sembra che anche lì i problemi non manchino. Dopo aver trovato un accordo sul salario minimo a 9 euro l’ora, Pd e M5s hanno ricominciato a discutere. Giuseppe Conte accusa il Pd di volere una “accoglienza indiscriminata” per i migranti, Elly Schlein risponde che Conte parla come Meloni e Salvini. Sulla guerra Conte insiste per una linea diversa da quella fin qui rivendicata dal Pd, trovando peraltro consenso in una parte dell’elettorato che ha votato per Schlein alle primarie.

Anche la segretaria del Pd è sotto pressione. Nel suo caso non si possono evocare governi o segreterie tecniche, ma anche a chi l’ha sostenuta dentro il Pd ogni tanto viene il dubbio se non sia il caso di arrivare fino alle Europee e poi cambiare. In sua difesa si è speso anche Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd, ex scissionista, poi rientrato tra i dem: “Attenzione alle manovrette di un certo establishment che pensa: c’è una destra in difficoltà, una sinistra che balbetta, troveremo qualcosa di extracorporeo, di extrapolitico, che sopperisca”, ha detto Bersani a Repubblica. Esiste già? “No, ma c’è il desiderio. Lo sento, son sensibile alle foglie. Inutile fare gli ingenui. C’è un pezzo di sistema che sta trattando Elly come una macchietta”. Resta tuttavia da capire se in mezzo a quel “sistema” non ci sia anche un pezzo di quel Pd che ha sempre governato senza vincere le elezioni. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)