di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Giorgia Meloni è, dunque, la prima presidente donna del Consiglio, è di destra (non di centrodestra) e fieramente conservatrice in un mondo in cui non c’è più niente da conservare, per dirla con Leo Longanesi. Domenica c’è stata la cerimonia della campanella, con il passaggio di consegne con Mario Draghi e il primo Cdm. “È emotivamente impattante”, ha detto Meloni, che nei primi tweet da presidente del Consiglio ha ribadito la fedeltà dell’Italia alle posizioni atlantiche.
Nel togliersi di dosso i fardelli della storia post fascista, Meloni si è ritrovata tuttavia circondata da ingombranti alleati di governo, il cui filo putinismo preoccupa e atterrisce. Silvio Berlusconi soprattutto ha offerto uno spettacolo poco decoroso e politicamente persino poco sofisticato, come testimonia il mancato sostegno a Ignazio La Russa, che è diventato presidente del Senato senza i voti di Forza Italia. Gli audio “rubati” non contengono voci dal sen fuggite, ma il pensiero autentico – una sorta di autodisvelamento – del capo di Forza Italia, che fin qui ci ha mostrato quanto gli sia difficile accettare la leadership di Meloni. Una leader e presidente del Consiglio che non vuole solo governare ma comandare, mestiere a lungo praticato dall’anziano ex capo del centrodestra. L’altro agit-prop del Governo è Matteo Salvini, che non è riuscito a diventare ministro dell’Interno, ma ha comunque ottenuto le Infrastrutture e la vicepresidenza del Consiglio. Fra i due tuttavia c’è una differenza sostanziale: Berlusconi è a capo di un partito che ha creato e plasmato, non deve rendere conto a nessuno; Salvini invece è a capo di un partito che non rottama i segretari, certo, ma nel quale c’è un consiglio federale a cui rendere conto. Per non parlare dei governatori, da Massimiliano Fedriga a Luca Zaia, che rimangono il volto migliore della Lega ridotto a partito a fisarmonica.
Il nuovo Governo è espressione di una chiara indicazione meloniana, come si capisce da alcune nomine e dai nomi dei ministeri (c’è anche quello della Sovranità alimentare, come nella Francia del libdem Emmanuel Macron), contraddistinto da un certo conservatorismo sociale che lo rende diverso dalla tradizione conservatrice anglosassone. D’altronde da noi non è mai esistito un partito conservatore vero, così come non abbiamo mai avuto i Russell Kirk e i Roger Scruton in salsa italiana che canonizzassero la mente conservatrice. “Perché non c’è mai stato in Italia un partito conservatore? La risposta migliore resta quella del Gattopardo”, ha spiegato il politologo Marco Tarchi: “Nessuno si è voluto mai caricare di un’etichetta così ingombrante – dall’illuminismo in poi, ma molti di fatto hanno puntato su quel versante. E, dopo il 1945, conservatore era diventato un sinonimo di ‘complice del fascismo’…”.
Il problema principale di Meloni in queste settimane saranno i suoi alleati, insieme alle vere emergenze e alle decisioni impopolari che dovranno necessariamente arrivare (che facciamo con tutti i bonus che vanno in scadenza e che dalla seconda metà del 2021 a oggi ci sono costati 60 miliardi di euro?). C’è chi tende a minimizzare il problema della collocazione internazionale dell’Italia, ma è dalla risposta che il Governo Meloni darà sul sostegno all’Ucraina che si potrà valutare quanto la nuova presidente del Consiglio sia in grado di resistere al logoramento degli alleati. La presenza di Antonio Tajani, esponente di spicco di Forza Italia, come ministro degli Esteri, lascia aperti molti dubbi, dopo le parole di Berlusconi sulla rinverdita amicizia con Putin a colpi di vodka e Lambrusco. “La prima telefonata entrando alla Farnesina è stata al ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba”, ha detto Tajani sabato: “Ho confermato il sostegno dell’Italia all’Ucraina in difesa della libertà e contro l’invasione russa. Non c’è pace senza giustizia. E giustizia significa indipendenza dell’Ucraina”. Parole che non possono evidentemente bastare. Fin qui la leader di Fratelli d’Italia ha mostrato una certa capacità nel gestire il dissenso politico interno al centrodestra. Ma anche la conservazione, come la rivoluzione, non è un pranzo di gala. Ma Meloni sembra saperlo.
Per arrivare dove è arrivata ha avuto bisogno di amici e maestri che torneranno utili anche in questa circostanza. Uno di questi è Fabio Rampelli, romano, deputato dal 2005. Viene dal Fronte della Gioventù e dalla mitologica sezione di Colle Oppio. Una sezione politicamente eterodossa, al punto tale che all’epoca veniva considerata persino “di sinistra”, con tutta quell’attenzione ai temi ambientali e sociali. Oggi rivendicati da Rampelli, che in un’intervista tempo fa ha spiegato perché lo infastidiscono tutti quei richiami al passato nero di Fratelli d’Italia. Lui risponde, ha detto, “con la mia amicizia con don Luigi Di Liegro”, fondatore della Caritas diocesana di Roma, di cui è stato direttore, scomparso nel 1997: “Ero segretario del Fronte della gioventù quando un comitato dei Parioli capeggiato da due parlamentari missini cercò di assaltare il suo centro per malati di Aids a Villa Glori. Io portai tutti i ragazzi del giovanile del Msi dentro il centro, per difenderlo. Il Fdg contro il Msi…, una pagina memorabile di una gioventù che era stufa della destra becera”, ha ricordato Rampelli, che negli anni Ottanta fondò insieme allo scomparso Paolo Colli l’associazione ambientalista “Fare Verde” e che in più di un’occasione ha preso posizioni divergenti rispetto al centrodestra. Come quando nel 2008 alla Camera votò contro l’articolo l’articolo 15 del Disegno di Legge Sviluppo (1441) che dava il via libera al Governo di emanare entro giugno 2009, uno o più decreti legislativi per la localizzazione in Italia di impianti di produzione elettrica nucleare, di sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi e del materiale nucleare.
Achille Totaro, ex parlamentare di lungo corso di Fratelli d’Italia, ha spiegato che la sezione di Colle Oppio era considerata, appunto, quella più di sinistra nel mondo della destra politica, perché su certe battaglie – come l’ecologia, la difesa ambiente – era all’avanguardia: “Ma penso anche all’immigrazione. Era una sezione che rifiutava razzismo e discriminazione. Anzi, da quelle parti si pensava che gli immigrati che arrivavano qui fossero sfruttati da un certo tipo di colonialismo e capitalismo; erano vittime, non persone da trattare male. Mi ricordo che in quella sezione Rampelli e gli altri facevano raccolta di aiuti umanitari per quei poveracci, rifiutando quindi un certo stereotipo della destra, che pure esisteva”.
Meloni ha insomma “vissuto in quegli ambienti in cui era molto sentita la difesa sociale dei più deboli”, ha spiegato ancora Totaro: “Non erano posizioni facili da tenere, a quei tempi, perché minoritarie nella destra. Ma la domanda che si facevano era: perché mai essere trucidi nei confronti degli immigrati?”. Chissà che cosa ne pensa Salvini, già ribattezzato il Truce da Giuliano Ferrara.
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)