In attesa di Bruxelles, un ripasso sull’ultimo Dpb inviato da Roma

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ROMA (Public Policy) – Domani Bruxelles è chiamata a esprimersi sul Dpb italiano (Documento programmatico di bilancio), inviato per la seconda volta dall’Esecutivo Conte dopo la prima bocciatura a ottobre. Poco è cambiato, rispetto al primo no, visto che il Governo italiano ha deciso di mantenere saldi e crescita invariati; questo vuol dire che dalla Commissione europea ci si aspetta l’avvio della procedura per disavanzo eccessivo. Una procedura lenta e farraginosa, ma comunque pericolosa per il nostro Paese. Entro 15 giorni dovrà pronunciarsi il Comitato economico Ue, mentre entro metà gennaio arriverà una raccomandazione. Poi – per la formalizzazione dell’avvio della procedura – toccherà all’Eurogruppo.

L’ULTIMA VERSIONE ITALIANA

L’entrata in vigore del reddito di cittadinanza, così come la riforma delle pensioni, è “da definire con legge collegata”. È una delle specifiche contenute nell’ultima versione del Documento programmatico di bilancio (Dpb) inviato dall’Italia alla Commissione Ue dopo i rilievi europei. Nelle precedenti versioni l’entrata in vigore delle due misure era indicata con efficacia “immediata”.

Nell’ultima versione si parla anche di privatizzazioni: “Introiti da privatizzazioni e da altri proventi finanziari per circa l’1% del Pil nel 2019 e lo 0,3% nel 2020”. Se il target dell’1% al 2019 venisse rispettato gli introiti si aggirerebbero intorno ai 18 miliardi di euro di valore.  Nelle precedenti versioni, infatti, si confermavano gli introiti da privatizzazioni e da altri proventi finanziari per circa lo 0,3% del Pil in entrambi gli anni 2019 e 2020.

Le privatizzazioni rappresentano un “margine di sicurezza per garantire che gli obiettivi di riduzione del debito approvati dal Parlamento siano raggiunti anche qualora non si realizzi appieno la crescita del pil ipotizzata”, ha scritto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nella lettera alla Commissione che accompagna il Dpb. Concetto ripreso dallo stesso Documento programmatico. In merito “all’andamento del rapporto debito/pil, nello scenario programmatico si ipotizzano proventi da dismissioni ed altre entrate afferenti al Fondo di ammortamento del debito pubblico pari allo 0,3% di pil nel 2018, all’1% nel 2019 e allo 0,3% nel 2020. I maggiori ricavi considerati per il 2019 – si legge nell’ultima versione del Dpb – costituiscono un margine prudenziale che mette in sicurezza gli obiettivi approvati dal Parlamento, anche qualora non si realizzasse appieno la crescita del pil ipotizzata. Tenuto conto di tali introiti e del loro impatto anche in termini di minori emissioni di debito sul mercato e quindi minori interessi, la discesa del rapporto debito/pil sarebbe ancora più marcata, e pari a 0,3 punti quest’anno, 1,7 punti nel 2019, 1,9 nel 2020 e 1,4 nel 2021. Il rapporto scenderebbe dal 131,2% del 2017 al 126% nel 2021″.

Passiamo a quota 100: il costo è di circa 5,5 miliardi di euro per il 2019. È la stima fatta dal Governo, secondo quanto si apprende, per il primo anno di applicazione del regime messo a punto dalla maggioranza per superare la legge Fornero. La stima è stata ‘certificata’ dall’Inps. Rispetto a quanto stanziato per il fondo di revisione della Fornero, 6,7 miliardi per il prossimo anno, si preannunciano quindi 1,2 miliardi di risparmi.

Anche le norme sulla pensione dovranno essere definite in un ddl collegato alla manovra. Sarà questo a contenere i dettagli della misura. Rimane fermo, comunque, il criterio di quota 100, come somma dell’età anagrafica (62 anni) e contributiva (minimo 38 anni). Stabilito anche il meccanismo delle finestre, cioè si potrà uscire dal lavoro solo in periodo prestabiliti, quindi anche successivamente alla maturazione del diritto. Dovrebbero essere 4, una ogni tre mesi.  (Public Policy) GAV-FRA