Italia e Ucraina, dal sostegno limitato al disimpegno

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Da alcuni giorni si avverte un sempre più sinistro scricchiolio nella maggioranza sul sostegno al Governo di Kyjv e alla resistenza ucraina all’aggressione russa. La presidente Meloni ha ammonito, di fatto, sull’insostenibilità di un impegno prolungato che accresca timori e sfiducia nell’opinione pubblica italiana. ll ministro della Difesa Crosetto ha descritto il presunto stallo militare della controffensiva ucraina come chiave di volta dell’inizio delle trattative nella prossima primavera: per così dire, a situazione data. La Lega ha continuato sotto traccia (e ormai anche sopra) a declinare il “prima gli italiani” anche rispetto alle vittime della guerra intrapresa dal vecchio e mai ripudiato sodale Vladimir Putin.

A tutto questo ha corrisposto nell’opposizione di sinistra il sempre più manifesto isolamento delle componenti del Pd che vogliono continuare a tenere fede alla posizione assunta durante il Governo Draghi, di fronte al disimpegno di tutto il mondo politico, sociale e sindacale (dalla sinistra Pd alla sinistra-sinistra extra-Pd, dalla Cgil all’Anpi, dall’associazionismo di base ai cosiddetti movimenti), schierato su posizioni esplicitamente pacifiste, dove la “prova d’amore” dell’impegno di pace continua a essere rappresentata dalla fine del sostegno militare all’Ucraina, non dall’inizio di una lotta nonviolenta, comunque configurata, al regime di Vladimir Putin.

Al contrario, la figura di Putin a destra come a sinistra torna ad essere evocata come quella dell’interlocutore indispensabile per porre fine allo stato di guerra. L’obiettivo della fine del regime putiniano non appare solo troppo costoso, ma perfino avventuristico, per chi ritiene più prudente ragionare su una qualche forma di ritorno allo status quo ante e sulla fine della guerra come miracoloso risveglio da un incubo nato da un equivoco o da un concorso di colpe e risolvibile con una spartizione territoriale negoziata. In questo quadro, occorre anche concretamente valutare quanto potrebbe costare dal punto di vista politico e militare il disimpegno italiano, per cui sembrano congiurare le parabole politiche della destra di governo e della sinistra di opposizione.

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il ministro Crosetto è tornato su di un refrain per un verso scontato, per un altro sospetto: “Gli aiuti all’Ucraina non possono essere illimitati”. È scontato perché in politica nulla è illimitato, essendo sempre limitate le risorse, cioè i mezzi, di cui i Governi e i Parlamenti dispongono per perseguire i propri fini. Non sono infinite neppure le risorse del servizio sanitario, del sistema dell’istruzione, delle politiche di sicurezza nazionale. È sospetto perché nella vulgata populista, che questo Governo si guarda bene dallo sfidare, il problema della disponibilità delle risorse è posto solo in rapporto a fini considerati teoricamente importanti, ma praticamente secondari rispetto ad altri e quindi rinunciabili.

Gli aiuti italiani (umanitari, finanziari e militari) all’Ucraina sono stati in realtà fin dall’inizio limitatissimi e condizionati, per non dire figurativi. Meno di un miliardo e mezzo di euro in tutto, di cui la metà in forniture militari, secondo le stime del Council on Foreign Relations aggiornate alla fine di luglio. Paesi Bassi e Danimarca, Paesi più piccoli e più ricchi, ma con un bilancio nazionale assai più contenuto, hanno dato, in termini assoluti, circa tre volte di più. Gli aiuti tedeschi sono stati di sedici volte superiori, quelli britannici di undici. Francia e Spagna hanno invece dato aiuti per circa lo 0,07% del Pil, proprio come l’Italia, secondo la classifica del Kiel Institute, dieci volte meno della Polonia. Tutti i Paesi est europei, tranne Ungheria e Romania, hanno impegnato a sostegno di Kyjv percentuali di Pil superiori a quelle italiane, francesi e spagnole. In termini assoluti, il sostegno militare di Kyjv è stato e rimane quasi integralmente sulle spalle di Usa, Germania e Regno Unito e, a seguire, di un gruppo di Paesi nord ed est europei.

Non va certo sottovalutata, in positivo, la partecipazione ufficiale alla compagine alleata di un Paese come l’Italia, pesantemente infiltrato dalla propaganda putiniana, con grandi partiti (Lega e M5s) fino a poco tempo fa ‘satelliti’ di Russia Unita, sulla base di accordi di collaborazione ufficiali e con una maggioranza schierata fino al 24 febbraio 2022 contro le sanzioni a Mosca e per una “relativizzazione” dell’invasione di parte del Donbas e dell’annessione della Crimea, nel primo tempo della guerra all’Ucraina, iniziata ormai nove anni fa (2014). Ma non si può sottovalutare, in negativo, che l’entità degli stanziamenti dei vari stati dell’Ue e della Nato, in particolare se rapportati al Pil, non misura le disponibilità economiche dei rispettivi bilanci, ma la volontà politica dei Governi nazionali. Da questo punto di vista, la volontà politica dell’Italia appare decisamente debole.

Se dunque non è politicamente irrilevante la permanenza (ancora per quanto?) dell’Italia all’interno del fronte euro-atlantico, l’inconsistenza del suo impegno finanziario è però la misura dell’oggettiva fragilità degli equilibri, che consentono ancora al nostro Paese di sostenere la causa ucraina e di non scivolare di fatto verso una posizione ungherese o slovacca. (Public Policy)

@carmelopalma

(foto cc Palazzo Chigi)