La Groenlandia tra Usa ed Europa: Trump solleva un tema reale

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di Andrea Gilli*

ROMA (Public Policy) – Già durante il suo primo mandato presidenziale, Donald J. Trump fece più volte riferimenti alla Groenlandia. Mai però si era arrivati, almeno da quanto è noto pubblicamente, al quasi scontro con un premier danese (Mette Frederiksen oggi, Lars Løkke Rasmussen nel 2016-20) sul tema.

Per comprendere la questione della Groenlandia bisogna fare il punto della situazione. Con oltre 2 milioni di km quadrati, il Paese copre un’area pari a buona parte dell’intera Europa occidentale, dal Portogallo alla Polonia, dall’Irlanda al Sud Italia. Parte del Regno di Danimarca, la Groenlandia gode di un’ampia autonomia amministrativa. Situata tra il Circolo Polare Artico e il Canada, e con poco più di 50.000 abitanti, la Groenlandia è il territorio sotto giurisdizione europea più esteso fuori dai confini del Vecchio Continente e il meno popolato al mondo.

Perché, dunque, Trump è così fissato con la Groenlandia? Manie di un mitomane o fiuto di un abile negoziatore. Per rispondere è necessario partire dai dati e dai trend. In primo luogo, molti studi ritengono che la Groenlandia possa ospitare enormi riserve di risorse naturali, tra cui zinco, piombo, oro, ferro, altri minerali, petrolio e terre rare pesanti e leggere. Le reali entità di queste riserve non sono note perché il territorio del Paese è stato sondato solo minimamente. Viviamo in un’era storica nel quale la domanda di risorse naturali non ha mai avuto eguali per via di almeno tre macro-dinamiche senza precedenti: la transizione energetica (che richiede, tra gli altri, rame e terre rare pesanti), l’accelerazione tecnologica (che ne richiede altre come silicio, oro, argento e gallio, tra gli altri) e la crescita della popolazione e dell’economia globale (che richiedono energia, e quindi petrolio e uranio, ma anche materiali, come ferro).

In secondo luogo, per via del cambiamento climatico, l’Artico sta diventando un’area sempre più strategica dal punto di vista economico, commerciale e politico-militare. L’elemento economico deriva in parte, ma non solo, da quanto accennato pocanzi: le potenziali enormi risorse naturali dei territori sull’Artico dove, complice il riscaldamento globale, diventa più facile iniziare processi di estrazione. L’aspetto commerciale riguarda il traffico navale che, passando per l’Artico, può ottenere enormi risparmi di tempi e quindi di costi. Un’intera industria potrebbe svilupparsi in Groenlandia e ciò potrebbe favorire, a sua volta, un boom economico, incluso il comparto delle costruzioni.

Infine, relativamente al dominio politico-militare, bisogna fare due appunti. Da una parte, durante la Guerra fredda, l’Atlantico ha giocato un ruolo centrale in quanto garantiva il trasporto di truppe e mezzi dal Nord America all’Europa, permettendo così agli Stati Uniti di non stazionare un eccessivo numero truppe all’estero (che costano economicamente e politicamente), e allo stesso tempo di mantenere la deterrenza tramite la minaccia di massici dispiegamenti di truppe. Per questo fine, era però necessario che l’Atlantico fosse al sicuro, e ciò a sua volte richiedeva una presenza navale di superficie e sottomarina estremamente importante.

Con il ritorno della competizione geopolitica tra le grandi potenze, l’Atlantico ha guadagnato rinnovata importanza, come dimostra il fatto che la NATO abbia attivato un Joint Force Command a Norfolk, in Virginia – che di fatto va a svolgere un ruolo molto simile a quello dell’Allied Command Atlantic durante la Guerra fredda, la difesa delle linee marittime nell’Atlantico. Dall’altra parte, il cambiamento climatico gioca un ruolo importante, in quanto permette a navi di superficie di operare nell’Artico, incluso quelle avversarie. Dall’altra, lo scioglimento dei ghiacci con i suoi effetti su temperature, salinità e correnti sottomarine, influenza la propagazione acustica subacquea, e quindi la lotta sottomarina, potenzialmente rendendo ulteriormente più difficile il lavoro per le flotte statunitensi e NATO. A ciò si aggiunge un altro elemento, con lo scioglimento dei ghiacci vengono messi in discussione gli attuali confini e dunque più Paesi possono rivendicare la loro sovranità su aree ricche di risorse naturali.

La discussione dell’aspetto militare ci porta all’ultima questione, la difesa della Groenlandia. Attualmente, gli Stati Uniti hanno truppe stazionate in Europa per proteggere il Vecchio Continente. Ma chi difende la Groenlandia, territorio europeo situato però tra il Nord America e il Circolo Polare Artico? Difficilmente può farlo la Danimarca che, durante la prima presidenza Trump, spendeva l’1,1% del Pil in Difesa suscitando già allora le ire di The Donald. Oggi la Danimarca spenderebbe oltre il fatidico 2% (secondo UE e NATO) ma si parla pur sempre di una spesa di circa €5 miliardi l’anno per circa 20.000 effettivi. Si è detto prima che la Groenlandia copre un’area pari a buona parte dell’Europa occidentale e eentrale. Se sommiamo la spesa in difesa di questa zona si arriva a circa €320 miliardi.

In caso di attacco alla Groenlandia, dunque, la Danimarca non sarebbe in grado di intervenire, e realisticamente non sarebbe in grado di fare molto neppure l’Europa. Quindi dovrebbero agire gli Stati Uniti, che però – nella visione di Donald Trump – dalla difesa della Groenlandia traggono ben pochi benefici. Anzi, anche dalla difesa della stessa Europa, gli Stati Uniti trarrebbero pochi benefici viste le multe ai giganti della tecnologia imposte dall’anti-trust europeo o le regole che ostacolo l’export statunitense nel Vecchio Continente. Proprio in questo dibattito subentra la presunta spesa militare danese pari al 2% che, secondo i critici (inclusi gli Stati Uniti), avrebbe raggiunto la fatidica cifra grazie ad alcuni artifizi contabili (volti a placare possibili critiche statunitensi).

In conclusione, Trump solleva nuovamente un tema reale. Lo solleva a suo modo. E quindi, gli Stati Uniti annetteranno militarmente la Danimarca? No, molto inverosimile. Più probabile che una soluzione si trovi su altri piani. In primo luogo, magari la Danimarca potrebbe pensare di concedere ad aziende Usa i diritti di estrazione delle risorse naturali groenlandesi. In secondo luogo, la Danimarca, o l’Europa, potrebbero sussidiare la difesa statunitense nella sua protezione del territorio della Groenlandia.

In terzo luogo, la Danimarca potrebbe spingere per una revisione delle attuali regole europee, come per esempio l’anti-trust che ultimamente ha imposto multe per decine di miliardi di euro (ovvero diversi ordini di grandezza la spesa militare danese) ad aziende come Apple e Google, e presto realisticamente anche Facebook. Oppure, la Danimarca potrebbe spingere l’Europa a cambiare la direzione della sua politica di difesa, in un senso più favorevole a Washington, ovvero comprare solo armi statunitensi da donare a Kiev visto che gli Usa già pagano direttamente buona parte della sicurezza europea. (Public Policy)

@aa_gilli

*docente di Studi strategici all’Università di St.Andrews in Scozia, Visiting Fellow all’Institute of European Policy-Making dell’Università Bocconi e Non-Resident Associate Fellow del NATO Defense College.