ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Il federalismo unisce verso l’alto ciò che è diviso, non divide verso il basso ciò che è già unito. In un mondo sempre più globalizzato, questa regola vale sia per Stati e istituzioni, sia per il mondo degli interessi, e in particolare dell’associazionismo imprenditoriale.
Dopo anni di sbornia localista, ora, per fortuna, assistiamo ad un’inversione di rotta. Ne è un lodevole esempio, che merita di essere segnalato, l’iniziativa assunta dall’Unione parmense degli industriali, che ha promosso un’intesa con altre sei associazioni confindustriali: due emiliane (Piacenza e Reggio Emilia), due lombarde (Cremona e Mantova), una ligure (La Spezia) e una toscana (Massa Carrara).
Sette realtà provinciali di quattro diverse regioni le cui affinità, sotto tanti punti di vista, sono molto maggiori di quelle che ciascuna ha con altre realtà della propria regione, tanto da rappresentare una vera e propria “area integrata”. Realtà accomunate da quella che a Reggio Emilia amano chiamare “soggettività mediopadana”, che consentirebbe alle aziende di quei territori di accedere a servizi associativi più efficienti, di gestire meglio le infrastrutture (aeroporto di Parma, stazione mediopadana dell’alta velocità, porti, fiere, ecc.), di migliorare la capacità di lobby e di collegare e integrare le diverse realtà imprenditoriali.
In un mondo globalizzato fatto di mercati sterminati, a fronte del tessuto imprenditoriale di medie, piccole e micro aziende italiane, la collaborazione tra imprenditori non è più un optional. Da una parte, ridurre i livelli decisionali, centralizzare le funzioni, unificare le rappresentanze degli interessi, aumenta la qualità e riduce i costi dei servizi forniti dalle varie associazioni territoriali.
Dall’altra, attraverso il coordinamento del “localismo economico”, la fusione dei distretti, l’implementazione dei contratti di filiera, è possibile superare le crisi di identità delle rappresentanze intermedie. Ma, soprattutto, le imprese sono in grado di presentare offerte migliori, più competitive e complete, unendo le proprie eccellenze a quelle di altre imprese a loro vicine. Secondo l’istituto demoscopico Swg, solo il 28% degli italiani ha fiducia nell’organizzazione di Confindustria.
È evidente che una struttura composta da 243 associazioni, oltre a costare circa 500 milioni l’anno, rischia di essere solo un coacervo di minute rappresentanze territoriali, di piccole soggettività, di inefficienze per i propri associati e di scollamento con il Paese.
La riforma Pesenti ha provato a introdurre correzioni nelle strutture di viale dell’Astronomia, offrendo vantaggi per le rappresentanze territoriali che si aggregano. Adesso, c’è l’esempio di un’area integrata che parte dalle coste tirreniche e arriva fino ai territori medio padani, che dimentica e abbandona le gelosie dell’orticello e prova ad adeguare l’associazionismo degli imprenditori agli schemi del nuovo millennio.
Speriamo che non lo abbia capito solo chi era presente a Parma. (Public Policy)
@ecisnetto