Lo Spillo
di Enrico Cisnetto

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ROMA (Public Policy) – Il testo è finalmente incardinato. Il ddl depositato in commissione Lavori pubblici da alcuni senatori Pd che propone di istituire anche in Italia il débat public, cioè una consultazione pubblica per la realizzazione delle grandi opere, ora deve andare a segno.

Se diventasse realtà, potrebbe contribuire a ridurre il ritardo infrastrutturale accumulato in vent’anni in cui, anche spendendo quanto gli altri paesi europei, l’Italia è penultima nella classifica Ue della dotazione infrastrutturale, con un indice di 95, contro i 117 del Regno Unito, i 115 della Germania, i 101 della Francia.

In Italia ognuno dei troppi soggetti esistenti sul territorio (Regioni, Province, Comuni, comunità montane, associazioni di cittadini, enti di secondo, terzo e quarto grado) ha spesso potere di contestare opere strategiche di interesse nazionale o addirittura europeo (dalla Valdastico Nord alla Tirrenica, dal Mose alla Tav, dal deposito per i rifiuti radioattivi alle eventuali piattaforme nell’Adriatico).

Così, opere importanti sono talvolta bloccate quando i progetti sono già stati approvati e i finanziamenti erogati (671 le incompiute ufficialmente censite). Istituire un protocollo di consultazione renderebbe più trasparenti le decisioni e, soprattutto, ridurrebbe le minoranze esagitate a quello che sono: professionisti del dissenso e del no a tutto che si arrogano il diritto di rappresentare il popolo, quando in realtà rappresentano solo se stessi. Il metodo del débat è già stato ampiamente illustrato da Public Policy.

In sintesi, dopo aver ricevuto la comunicazione sul progetto, la Commissione nazionale avvia il dibattito pubblico, stabilendone durata, fasi e modalità per garantire la più ampia partecipazione dei cittadini. In base al tipo di opera, inoltre, la consultazione può essere obbligatoria o attivabile su richiesta. Al termine, il referente scelto dal soggetto proponente stila un rapporto in cui verbalizza le eventuali alternative e il grado di consenso raggiunto.

A quel punto, il proponente decide se rinunciare, andare avanti sul vecchio progetto o accogliere proposte alternative. Ora, il débat public non sostituisce gli attuali strumenti autorizzativi, e avrà un costo di 5 milioni a decorrere dal 2016, tutti a carico del soggetto proponente. Quindi, senza spese per i cittadini, nascerebbe uno strumento utile a chi deve costruire, alle istituzioni coinvolte, ai cittadini, allo sviluppo infrastrutturale complessivo del Paese.

In fondo, è un dovere spiegare ai cittadini gli effetti sul territorio, positivi e negativi, in modo che al termine del percorso, e prima che sia tardi per fermarsi senza sprechi, possa essere presa una decisione preliminarmente condivisa. Che poi dovrà essere tassativamente rispettata, senza tentennamenti.

Dunque, non sarà facile imporre una prassi che richiede onestà intellettuale e capacità delle amministrazioni locali di negoziare le possibili contropartite. Ma è necessario provarci. Anzi, riuscirci. (Public Policy)

@ecisnetto