di Pietro Monsurrò
ROMA (Public Policy) – Sulla questione della cancellazione delle elezioni presidenziali romene e dell’eliminazione del candidato vincente al primo turno, Georgescu, per accuse molto gravi di “intelligenza col nemico”, si tendono a confondere due questioni completamente diverse. La prima è la fondatezza delle accuse e quindi della legittimità delle azioni che ne sono susseguite. La seconda è però ben più importante: la tenuta delle democrazie di fronte al malcontento degli elettori. Una cosa è dimostrare se la campagna sia stata illegalmente influenzata dalla Russia; un’altra è capire le ragioni del successo tra gli elettori di un candidato potenzialmente corrotto e autoritario.
Poche parole sulla prima questione: in tutte le democrazie ci sono controlli giudiziari sia sulle ingerenze straniere sia sul rispetto della legge da parte dei politici, ed è ovvio che nessun politico possa considerarsi al di sopra della legge, o peggio essere un agente di una potenza straniera ostile. La questione è la fondatezza o meno delle accuse, cosa che non è possibile giudicare senza entrare nei dettagli delle indagini in corso: è legittimo e a volte anche giustificato non avere fiducia nella magistratura, ma non si può dire a priori se le accuse siano fondate o meno. Se le accuse sono vere, e ci sono robuste prove, l’esclusione di Georgescu e la cancellazione delle elezioni sono legittime; altrimenti è giusto parlare di tentativo di golpe giudiziario: è giusto porre la questione, perché la cancellazione di un’elezione e l’esclusione del candidato potenzialmente vincente sono azioni estreme che richiedono una delicatezza estrema, pena la destabilizzazione della democrazia.
La seconda questione è però molto più importante. In tutte le democrazie occidentali ci sono movimenti e partiti di protesta antisistema che incanalano il risentimento, la rabbia e la sfiducia dei cittadini nei riguardi dell’establishment e delle istituzioni. I MAGA di Trump negli Usa sono un esempio eclatante, come RN in Francia, UKIP e Reform UK in Gran Bretagna, AfD e BSW in Germania, M5s in Italia, PiS in Polonia, SMER in Slovacchia e Fidesz in Ungheria (quest’ultimo diventato ormai ‘il’ sistema). Non tutti questi partiti sono uguali, ma hanno tutti qualcosa in comune: incanalano il malcontento verso la politica convenzionale, contro l’establishment (retorica che mantengono anche quando al potere da quindici anni, come Viktor Orbán).
Molti dei temi trattati dalla maggior parte di questi partiti sono simili: paura per il futuro, rifiuto dell’immigrazione di massa (soprattutto se unskilled o islamica), paura della microcriminalità, problemi economici legati all’inflazione o alla stagnazione dei redditi, devoluzione di poteri e competenze dalle democrazie nazionali a istituzioni sovranazionali considerate lontane dai cittadini. Non aiutano le politiche energetiche che impoveriscono i consumatori con prezzi più alti; né le difficoltà dell’euro a garantire bassa inflazione con politiche monetarie più incisive; né le politiche ambientali che riducono la competitività industriale e il potere d’acquisto dei consumatori; né il ricordo della crisi finanziaria causata dall’eliminazione degli spread indotta dall’euro; né il fatto che l’Europa costringa alcuni Paesi relativamente virtuosi a finanziarne altri meno virtuosi.
Alcune proposte della protesta sono irricevibili perché autocontraddittorie o impossibili da realizzare. Altre sono invece realizzabili, per quanto su un orizzonte temporale prolungato o con costi potenzialmente rilevanti nel breve termine.
Ovviamente, non si può andare dietro ad un elettorato che chiede l’impossibile: o gli si spiega perché certe cose non sono realizzabili (perdendo gran parte degli artifici retorici delle democrazie, come quella dei “diritti acquisiti”), o si lascia fare ai partiti di protesta, che dopo alcuni anni di governo si scontreranno con l’impossibilità di perseguire determinati obiettivi, perdendo consensi (che è ciò che è successo al M5s).
Obiettivi impossibili o autocontraddittori abbondano: c’è chi vuole la svalutazione competitiva (cioè causare inflazione per recuperare competitività) e poi si lamenta della perdita di potere di acquisto causata dall’inflazione; chi vuole il Made in Italy (o del Made in the Usa, dato che le fallacie protezioniste hanno particolare successo tra i MAGA) ma poi si lamenta dell’aumento dei prezzi; chi vuole più deficit e più debito per finanziare magari politiche assistenziali e clientelari, ma poi si lamenta della conseguente stagnazione economica e instabilità finanziaria. I demagoghi non si fanno dei problemi, ma dei politici seri (ne esistono?) dovrebbero rendersi conto che ad ogni beneficio corrisponde un costo, e che “non esistono pasti gratis”. Purtroppo, certe democrazie sono assuefatte alla demagogia, e non vedono che i problemi di oggi sono le conseguenze delle pseudo-soluzioni di ieri, come il debito pubblico in Italia. Difficile mantenere il consenso quando le menzogne con cui lo si è ottenuto per decenni si rivelano non più efficaci, e si deve dire all’elettorato la verità.
D’altra parte, ci sono tante politiche possibili che andrebbero incontro ai desideri degli elettori e quindi depotenzierebbero la protesta, riducendo i consensi per i partiti anti-sistema. Sole e vento fanno aumentare i costi dell’energia e riducono la competitività dell’industria con prezzi altalenanti? Si usino alternative affidabili e tecnologicamente mature, come nucleare, idroelettrico, geotermico, oppure si prolunghi l’utilizzo dei fossili per mancanza di alternative (il mondo non si accorgerà della differenza, in termini di riscaldamento globale, perché l’Europa pesa poco sulle emissioni globali, e le politiche in atto da decenni sono poco efficaci).
Si devono sprecare migliaia di miliardi per la riqualificazione ambientale degli edifici e risparmiare una frazione minima sui consumi per riscaldamento, come è stato fatto in Italia, e come – visto il fallimento italiano – si vuole ancora fare in tutta l’Unione europea? Si cancelli la Direttiva. L’automotive è in crisi e si perdono posti di lavoro in tutta l’industria pesante? Si rimuovano le leggi che vietano alcune tecnologie o aumentano i costi dei prodotti, e si garantisca energia a prezzi competitivi. I prezzi dei beni alimentari crescono? È giunta l’ora di liberalizzare OGM e TEA, aumentando la produttività. L’opinione pubblica è spaventata da crimini o atti di terrorismo commessi da stranieri “noti alle forze dell’ordine?” Li si tenga in galera o li si rimpatri, senza lasciarli liberi di vagare per strada. Gli elettori non vogliono che miliardi o decine di miliardi vengano spesi per sostenere immigrati non economicamente autosufficienti? Si mettano dei requisiti reddituali per garantire che tutti gli stranieri paghino abbastanza tasse da finanziare la propria quota di beni pubblici e politiche sociali. Si ritiene assurdo che ci siano assassini liberi dopo cinque anni di carcere? Li si tenga in carcere più a lungo. I cittadini sono stufi di vedere poteri allontanarsi dalle sedi nazionali e concentrarsi in istituzioni lontane e irraggiungibili come l’Unione europea? Si riducano i poteri e le competenze delle istituzioni europee.
Se gli elettori chiedono da decenni determinate modifiche nelle policies, e poi non si fa nulla, non si ha alcuna credibilità nel lamentarsi della protesta, né nel dichiararsi democratici. Se invece chiedono l’impossibile, magari perché abituati male da decenni di demagogia insostenibile nel lungo termine, si spieghi perché è impossibile, e si educhi l’elettorato a distinguere gli statisti dai demagoghi, per quanto possibile, dato che i politici tendono ad assomigliare ai secondi.
Se la popolazione si ribella allo status quo, che abbia o meno ragione, che proponga o meno soluzioni fattibili, che ponga o meno problemi risolvibili, lo status quo deve per forza cambiare, oppure la protesta rientrare. Per far rientrare la protesta ci sono tre modi: spiegare che sia infondata (improbabile, e soprattutto serve credibilità per poterlo fare: quale politico oggi può dirsi credibile nel fare promesse agli elettori?); aspettare che le idee dei movimenti di protesta vengano applicate e falliscano (facendo potenzialmente enormi danni, inclusi, in certi casi, la distruzione della democrazia); modificare la traiettoria delle politiche attuali per tener conto delle motivazioni fondate della protesta e per risolvere i problemi risolvibili causati dalle precedenti politiche.
È impossibile salvare una democrazia se l’elettorato non ne vuole sapere dell’establishment, e l’unica alternativa è un potenziale burattino di un tiranno, o un potenziale tiranno tour court. Se si prova la soluzione “giudiziaria”, la protesta continuerà trovando un nuovo leader, o un nuovo burattino: dopo un Georgescu magari si troverà un Pisaroglu [1]. E se si continua a ritenere che milioni di elettori possano essere convinti da candidati di dubbia credibilità politica e affidabilità democratica da una breve campagna sui social media, ci si deve chiedere se veramente si creda nella democrazia: che senso ha dare il diritto di voto a persone che si fanno ingannare da poche settimane di campagna su TikTok? Perché semmai non adottare una dittatura illuminata dell’establishment? Lo stesso establishment che ha sbagliato le politiche ambientali, energetiche, migratorie, finanziarie, monetarie degli ultimi decenni: una garanzia che il malcontento continui a crescere, fino a chiedere l’uso delle ghigliottine. Salvare la democrazia andando contro gli elettori non è una strategia sostenibile: far rientrare la protesta è l’unica soluzione di lungo termine. (Public Policy)
@pietrom79