di Carmelo Palma*
ROMA (Public Policy) – Basta dare un’occhiata all’informazione italiana legata alla maggioranza di Governo per vedere come, di fronte alla tempesta abbattutasi con la Presidenza Trump su precari equilibri politici dell’Occidente, il sentimento prevalente sia la schadenfreude verso la sinistra e l’Unione europea, cioè la gioia maligna per la disgrazia dei nemici giurati della destra sovranista.
Chissà che sorpresa avrebbero i trumpiani domestici a rimorchio del presidente MAGA se mai toccherà loro di scoprire – proprio grazie al trionfo dell’amato beniamino – che la rottura dell’alleanza transatlantica o le divisioni nazionaliste dell’Ue non lascerebbero agli euro-trumpiani un invidiabile dividendo politico, ma precipiterebbero tutta l’Europa e tutti gli europei, sovranisti inclusi, nel pericolo e nell’incertezza.
D’altra parte, far coincidere con il fronte cosiddetto progressista tutto ciò che Trump vuole spazzare via, a partire dall’Ucraina, è decisamente sbagliato, anche se per la destra consolatorio, visto che la “pace” che Trump vuole imporre a Kyiv e le accuse che continua a rovesciare sul “dittatore” e “guerrafondaio” Zelensky appartengono anche al repertorio più tradizionale della sinistra pacifista.
Le mosse di Trump impongono una prova di maturità troppo a lungo rimandata, ma decisamente obbligata per tutte le élite europee e svelano quanto sia astratto e convenzionale il discrimine tra destra e sinistra (sia genericamente intese, sia soprattutto “all’italiana”) in uno scontro che divide e spacca l’Occidente in modo molto più radicale, a partire dai suoi stessi fondamenti costituzionali: lo stato di diritto come necessaria infrastruttura della cooperazione umana, la società aperta come motore di crescita economica e progresso civile, la divisione e limitazione reciproca dei poteri come garanzia di libertà e di giustizia.
Il trumpismo travolge tutto questo secondo uno schema già ben conosciuto nella filosofia politica greca, quello della cosiddetta “anaciclosi”, cioè dell’evoluzione ciclica delle forme di governo, che dal disordine oclocratico (la sfiducia di massa contro la democrazia “tradizionale”) porta alla monarchia e poi alla sua degenerazione tirannica. L’attacco al sistema della democrazia liberale che Trump ha dispiegato a ogni livello, interno e internazionale – con la pretesa del sovrano eletto di essere la legge, cioè espressione di una volontà popolare “pura”, perché liberata da intermediazioni istituzionali e da vincoli costituzionali sovraordinati – riprende motivi che la demagogia politica ha disseminato anche a sinistra sul terreno fertile del pensiero marxista, che considera sovrastrutturale e inautentico il piano del diritto e della garanzia dei diritti individuali, intendendolo come strumento di dissimulazione ideologica e perpetuazione pratica della dominazione di classe.
Sono decenni che il sospetto contro la natura parassitaria e usurpatrice della rappresentanza democratica e dello stesso pluralismo politico si diffonde in tutto l’Occidente e gonfia le bolle mediatiche in cui l’uomo massa digitale presume di scoprire e di capire “quello che non ci dicono”. Trump è il conto che ci presentano anni di incuria e sottovalutazione della crisi delle democrazie, ma è anche il fenomeno di un ecosistema politico-informativo alienante e manipolatorio, che i padroni delle piattaforme oggi amministrano in una logica feudale, cioè dispotico verso il basso e servente verso l’alto.
Ma come dimostra proprio la situazione italiana, alla pari di quella francese, spagnola o tedesca, la trincea della resistenza al disegno nichilista di Trump – che in Europa parte dall’Ucraina per arrivare al cuore delle istituzioni comuni – non corre lungo il confine tra la destra e la sinistra, ma tra i difensori dell’ordine politico liberale e i suoi nemici e spregiatori. Attorno al piano di spoliazione dell’Ucraina, che la Casa Bianca intende stipulare con il Cremlino, nel nostro Paese si è immediatamente ricreato l’antico fronte di sostegno giallo- verde, con i peana di Conte e Salvini, ma tarda a ricrearsi un vero fronte di opposizione.
Il Pd ha al proprio interno e tra i propri alleati ormai più pacifisti che atlantisti. Meloni, che forse è consapevole dello tsunami che si sta abbattendo, via Ucraina, sull’Europa è anch’essa imprigionata da un mondo che culturalmente vede in Trump il vendicatore delle frustrazioni dei figli del dio minore della Repubblica antifascista ed è, oltre al resto, una filo-ucraina avventizia e improvvisata, risvegliatasi dall’incantesimo putiniano con le bombe a Kyiv il 24 febbraio 2022. Forza Italia si finge morta, impegnata nella diplomazia a vuoto di Tajani, un colpo alla botte Usa e una a quella ucraina, in bilico permanente tra l’equivoco e l’ipocrisia.
A parte Calenda non c’è un leader politico italiano disposto a riconoscere che la libertà dell’Ucraina è una questione di vita e di morte per tutte le democrazie europee e che l’Europa che c’è – cioè la paralisi permanente del Consiglio su tutti i temi che contrano, grazie al veto dei Quisling di Ungheria e Slovacchia – non è minimamente in grado di decidere nulla di buono o di corrispondente alla gravità del momento e che bisogna, come ha ammonito Draghi, inventarsene presto un’altra, al di fuori del guscio vuoto dell’Ue a 27.
Se come è possibile una coalizione di volenterosi tra il Regno Unito di Starmer, la Francia di Macron, la Germania di Merz e la Polonia di Tusk deciderà di battere un colpo per scongiurare un deal Trump-Putin dagli esiti infausti, è quasi impossibile immaginare l’Italia schierata al loro fianco, cioè dal lato giusto della storia. (Public Policy)
@CarmeloPalma
*l’autore è responsabile dell’Ufficio legislativo di Azione al Senato