La proposta di Sel sul lavoro dei collaboratori parlamentari

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ROMA (Public Policy) – Una proposta di legge per regolamentare i rapporti di lavoro tra i parlamentari e i loro collaboratori, perché “a differenza di quanto avviene sia nel Parlamento europeo, sia nei Parlamenti di altri Stati membri dell’Unione europea, il nostro Paese manca di una disciplina complessiva che regoli” questo tipo di “rapporti di lavoro”. È quanto si legge nella relazione illustrativa di una proposta di legge di Sel assegnata qualche giorno fa in commissione Lavoro alla Camera.

“L’intervento legislativo in esame – si legge ancora nella relazione illustrativa – si propone di eliminare alcuni elementi di discrezionalità esistenti in questa tipologia di rapporti di lavoro, che troppe volte hanno finito per sfavorire la parte contraente più debole, con il rischio di creare vere e proprie sacche di illegalità anche nel Parlamento”.

Una proposta di legge in questo senso era già stata approvata dalla Camera nella scorsa legislatura senza riuscire ad essere varata in via definitiva a causa della caduta del governo. Il testo, firmato dal responsabile Lavoro del partito, Giorgio Airaudo, e dal deputato Antonio Placido, prevede innanzitutto che il rapporto di lavoro tra parlamentare e collaboratore, per le attività connesse all’esercizio delle funzioni parlamentari, sia di carattere fiduciario, abbia una durata commisurata a quella della legislatura e, salvo diverso accordo delle parti, possa essere rinnovato.

“Per quanto riguarda la disciplina del recesso, si prevede che nel caso in cui venga stipulato un contratto di lavoro subordinato trova applicazione l’articolo 2118 del codice civile – spiega ancora la relazione – che prevede il recesso ad nutum, ossia il libero recesso delle parti, fatto salvo l’obbligo di preavviso non inferiore a trenta giorni; nel caso di rapporto di lavoro non subordinato il recesso è invece rimesso alla disciplina contrattuale tra le parti”.

Il rapporto di lavoro fra parlamentare e collaboratore esclude qualsiasi rapporto lavorativo tra il collaboratore e le amministrazioni delle Camere. Le relative controversie sono devolute al giudice ordinario. Per quanto concerne gli aspetti economici, la proposta di legge prevede che gli uffici di presidenza delle Camere definiscano le modalità del pagamento diretto della retribuzione dei collaboratori e dell’assolvimento dei relativi oneri fiscali e previdenziali da parte dell’amministrazione.

La retribuzione del collaboratore non può essere inferiore ai minimi definiti dai contratti o dalla legge per la natura o la tipologia di attività concordata tra le parti. In caso di contratti che prevedano lo svolgimento di attività non riconducibili a una sola tipologia contrattuale, si applicano i minimi stabiliti per l’attività di contenuto più qualificato. Nei rapporti di lavoro non subordinati la retribuzione non può risultare inferiore ai minimi stabiliti dai contratti per le equivalenti mansioni svolte con contratto di natura subordinata, commisurati all’orario delle prestazioni concordate tra le parti.

“Ciascun parlamentare può stipulare contratti con uno o più collaboratori nei limiti delle somme destinate a tale finalità dagli uffici di presidenza – prosegue a spiegare la relazione – Al di fuori di tali limiti ciascun membro del Parlamento può avvalersi di ulteriori collaboratori con retribuzione e oneri fiscali e contributivi a proprio esclusivo carico”. Nel caso in cui il contratto di collaborazione venga stipulato con il coniuge o parenti o affini entro il secondo grado il parlamentare provvede da sé a gestire il rapporto contrattuale, incluso l’assolvimento degli oneri fiscali e previdenziali. A vigilare sul rispetto dell norme saranno gli uffici di presidenza. (Public Policy)

NAF