Lista Cappato, ricorso rigettato: decisione modello “comma 22”

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – È stata resa nota martedì l’ordinanza con cui il giudice Andrea Borrelli, della Prima Sezione civile del Tribunale di Milano, ha rigettato la domanda cautelare proposta dalla lista “Referendum e Democrazia”, che chiedeva l’ammissione dei propri candidati nella circoscrizione elettorale della Lombardia, per le elezioni del Senato della Repubblica, dopo il provvedimento di esclusione dell’Ufficio elettorale regionale, confermato dall’Ufficio elettorale centrale nazionale.

Era una sentenza attesa, perché l’accoglimento del ricorso avrebbe comportato il rinvio delle elezioni del prossimo 25 settembre. Altrettanto atteso, in realtà, per ragioni in larga misura extra-giudiziarie, poteva considerarsi il rigetto, vista anche la portata delle conseguenze. Abbastanza inatteso è invece l’escamotage con cui il giudice ha pensato di cavarsi d’impaccio. Per comprendere i presupposti e la particolarità della decisione occorre però ricostruire nel dettaglio i termini della questione.

Dopo lo scioglimento delle Camere e la convocazione delle elezioni, Marco Cappato, Marco Perduca, Virginia Fiume e altri dirigenti di Eumans (un gruppo di iniziativa politica paneuropea di derivazione radicale) hanno promosso la presentazione di una lista elettorale denominata “Referendum e Democrazia con Cappato” in alcune circoscrizioni nazionali per la Camera e il Senato. In questo modo hanno voluto denunciare il carattere discriminatorio del procedimento elettorale, che in Italia impone ai partiti non rappresentati in Parlamento oneri gravosi e per certi versi impossibili, a partire dall’obbligo di raccolta di un numero di firme nettamente superiori a quelle previste in altre grandi democrazie europee, con modalità di autenticazione e certificazione delle sottoscrizioni deliberatamente ostruzionistiche. Partiti e gruppi politici già presenti in Parlamento, come è noto, sono invece esonerati da questa prova di rappresentatività.

Il pregiudizio che le norme elettorali recano all’esercizio del diritto di partecipazione politica e di elettorato passivo è un tema che viene ricorrentemente sollevato. Lo fece anche il M5s, nel 2013, quando raccolse con grande fatica le 30.000 firme richieste (meno di quante fossero necessarie quest’anno), pur a fronte di un favore popolare diffuso, che lo portò alle elezioni oltre il 25% dei voti. Con la stessa frequenza con cui viene sollevato da partiti o liste di nuova costituzione, questo tema viene anche sistematicamente rimosso, dopo ogni elezione, dalla discussione pubblica e dall’agenda parlamentare, anche con il concorso dei partiti, che una volta entrati in Parlamento perdono l’interesse a una battaglia che, per definizione, riguarda solo i diritti di chi in Parlamento ancora non c’è. A fronte di questa situazione gli attivisti di Eumans hanno promosso un’iniziativa deliberatamente finalizzata alla presentazione di ricorsi in sedi giurisdizionali italiane e europee, per fare dichiarare l’illegittimità e provocare la disapplicazione di alcune norme – che non sono le sole nella legislazione elettorale a essere discriminatorie, ma sono certamente le più pregiudizievoli del diritto di partecipazione democratica – relative alle modalità prescritte per la raccolta delle firme degli elettori.

Ciascuna firma, dice la legge, va apposta alla presenza di un autenticatore autorizzato, che verifica l’identità del firmatario, di cui va richiesto e procurato anche il certificato di iscrizione nelle liste elettorali, rilasciato dal comune di residenza, poiché i firmatari possono sottoscrivere unicamente una delle liste presentate nelle circoscrizioni territoriali di cui sono elettori. A fronte di questa previsione, la lista “Referendum e Democrazia” ha presentato le proprie candidature in alcune circoscrizioni con le stesse modalità con cui erano state raccolte le firme per i referendum sulla legalizzazione della cannabis e sull’eutanasia attiva nell’autunno del 2021, cioè mediante il ricorso a piattaforme informatiche e a sottoscrizioni apposte con la firma digitale.

Lo sdoganamento della firma digitale per referendum e proposte di legge di iniziativa popolare in Italia è stato inizialmente operato attraverso una norma della legge finanziaria per il 2021, che prevedeva la realizzazione di “una piattaforma di raccolta delle firme digitali da utilizzare per gli adempimenti di cui all’articolo 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352” (articolo 1, comma 341 della legge 30 dicembre 2020, n. 178). In seguito con un emendamento al decreto semplificazioni del 2021 si è previsto che, nelle more della realizzazione di questa piattaforma, “a decorrere dal 1° luglio 2021 le firme degli elettori necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75, 132 e 138 della Costituzione nonché per i progetti di legge previsti dall’articolo 71, secondo comma, della Costituzione possono essere raccolte anche mediante documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata” (articolo 38-quater, comma 1, lettera c) del decreto legge 31 maggio 2021, n. 77). Gli uffici elettorali locali e nazionali non hanno ammesso liste e candidature di “Referendum e Democrazia” ritenendo di confermare un indirizzo interpretativo costante, che considera speciale la normativa che regola i procedimenti elettorali, che non prevede la sottoscrizione delle liste in formato digitale e “non consente alcuna estensione analogica occorrendo a tal fine specifiche disposizioni legislative” (Ufficio elettorale della Lombardia – 23/08/2022).

I ricorrenti – il presidente di “Referendum e Democrazia” Marco Perduca con alcuni candidati al Senato nella Regione Lombardia, assistiti da Giovanni Guzzetta – hanno ribattuto a questa obiezione evidenziando come la normativa elettorale abbia da tempo riconosciuto nella firma digitale uno strumento idoneo alla presentazione delle liste elettorali. Infatti proprio il Rosatellum aveva previsto che entro “sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge” il ministero dell’Interno con proprio regolamento stabilisse “le modalità per consentire in via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste in occasione di consultazioni elettorali, anche attraverso l’utilizzo della firma digitale e della firma elettronica qualificata” (articolo 3, comma 7 della legge 165/2017). L’inadempienza quinquennale del Viminale ha dunque vanificato una esplicita previsione legislativa, che ha però trovato secondo i ricorrenti indiretta, ma applicabile attuazione nella disciplina prevista, come detto, per i referendum e le proposte di legge di iniziativa popolare.

I ricorrenti hanno inoltre aggiunto, nel motivare il ricorso, che sia norme europee (Regolamento 910/2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno) sia nazionali (Codice dell’amministrazione digitale – d.lgs. 82/2005) definiscono un contesto normativo che prevede già l’equiparazione tra firma digitale e sottoscrizione autografa. Su questa base hanno chiesto al Tribunale di Milano di stabilire, in via cautelare, l’ammissione della lista “Referendum e Democrazia” alle elezioni per il Senato nella circoscrizione elettorale della Lombardia e, in subordine, di sollevare una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea circa la compatibilità della previsione esclusiva della firma autografa con l’art. 25.2 Reg. Ue n. 910/2014 e una questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale a proposito delle disposizioni, che escluderebbero nel procedimento pre-elettorale il ricorso alla firma digitale.

Contro questo ricorso si è costituito anche il Governo italiano, con un atto di comparsa che oltre a ripercorrere gli argomenti utilizzati dagli uffici elettorali per l’esclusione della lista, ha motivato le ragioni per cui si sarebbe dovuto giudicare il ricorso inammissibile, o dove ammesso, infondato nel merito. Per sovrappiù ha aggiunto che il provvedimento cautelare chiesto dai ricorrenti avrebbe imposto di differire lo svolgimento delle elezioni e quindi “di revocare e rinnovare o quanto meno modificare il D.P.R. 21.7.2022, n. 97, con cui il presidente della Repubblica ha convocato per domenica 25 settembre 2022 i comizi per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” e che tutto ciò avrebbe “comportato la violazione dell’art. 61 comma 1 della Costituzione”, che prevede l’elezione delle nuove Camere entro settanta giorni dallo scioglimento delle precedenti. Questa è una motivazione invero curiosa, perché volta a stabilire surrettiziamente il principio dell’inammissibilità assoluta dei ricorsi su questa materia, non per violazione dei limiti della giurisdizione del giudice ordinario, ma perché in ogni caso l’accoglimento sarebbe destinato a pesare sul corso del procedimento elettorale.

Ancora più curiosa e paradossale è stata però la motivazione con cui il giudice ha rigettato il ricorso, tenendosene in realtà a prudentissima distanza. Condividendo il rilievo formulato dall’Avvocatura dello Stato a proposito di un “difetto di prova circa la sussistenza e validità delle sottoscrizioni prescritte anche eventualmente in formato digitale”, osservando che “il sopra riferito rilievo dei resistenti rende qui contestata la circostanza dell’avvenuta presentazione agli Uffici elettorali regionale e centrale, da parte dei ricorrenti, di sottoscrizioni digitali regolari e in numero sufficiente” e rilevando che “tale circostanza avrebbe dovuto, invece, essere dimostrata dagli istanti, atteso che essa costituisce il presupposto di fatto che – secondo la prospettazione dei medesimi ricorrenti – legittimerebbe la pronuncia dei provvedimenti richiesti”, il giudice ha dichiarato di non essere stato posto dai ricorrenti “in condizione di verificare la sussistenza del predetto elemento di fatto della fattispecie controversa (verifica che non può esimersi dal fare, attesa la contestazione di parte resistente)”. Da questo discende quindi “l’insussistenza del presupposto della richiesta tutela cautelare”.

Questo è un vero “paradosso del comma 22”, un circolo logico e giuridico vizioso senza via di scampo. Nella sostanza l’argomento circolare del giudice è il seguente: l’Ufficio centrale regionale non ha contato e verificato le firme depositate, ritenendo inammissibile la modalità di raccolta (firme digitali e non autografe), e dunque manca la prova che esse, nel loro numero, fossero pari o superiori a quelle previste dalla legge e fossero tutte di cittadini elettori della circoscrizione regionale; visto che però il presupposto del ricorso della lista “Referendum e Democrazia” circa la validità delle firme digitali è che le firme fossero valide e sufficienti e l’Ufficio elettorale non le ha contate e verificate proprio perché erano digitali manca il presupposto del ricorso! Il giudice, come anche l’Avvocatura dello Stato, sembrano avere ignorato che i ricorrenti non avrebbero mai potuto allegare la documentazione relativa alle firme presentate proprio perché essa era nella disponibilità dell’ufficio elettorale regionale. La condizione richiesta dal giudice per integrare il presupposto della richiesta cautelare era semplicemente impossibile e peraltro nulla avrebbe impedito al giudice di pronunciarsi sul punto dell’ammissione della lista, previa verifica della validità e del numero delle firme raccolte digitalmente. Ma per fare questo il giudice avrebbe dovuto affrontare e non eludere il tema delicatissimo della equiparazione delle firme digitali e di quelle autografe nel procedimento elettorale preparatorio.

Se dunque questa decisione fa tirare a molti un sospiro di sollievo circa il rinvio delle elezioni (ma qualcuno si era davvero preoccupato?), di sicuro lascia aperta e insoluta una questione tutt’altro che irrilevante per il funzionamento del processo democratico. (Public Policy)

@carmelopalma