Russiagate, bivio Pd: che fare dell’alleato ingombrante?

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Giuseppe Conte, l’alleato privilegiato del Pd, già noto al grande pubblico come “punto fortissimo di riferimento di tutti i progressisti”, è diventato un fardello per i democratici. Che però non parlano. Restano quasi tutti in silenzio. Non proferiscono verbo dopo gli articoli di Repubblica Corriere su Russiagate e su medici e militari arrivati in Italia nel 2020 per “aiutare” nella lotta al Covid. A eccezione della deputata del Pd Patrizia Prestipino, che a Public Policy dice: “Abbiamo il Copasir, che è l’organismo idoneo ad approfondire questioni relative alla sicurezza della repubblica, nel quale per il Pd c’è Enrico Borghi, collega molto competente ed esperto di questi temi. Come parlamentari aspettiamo che in questa sede si faccia chiarezza su una vicenda dai contorni poco netti”.

In complesso, tuttavia, c’è un silenzio fragoroso, disturbante. L’alleato migliore dei dem, quello con cui costruire la “casa comune” come da esatta definizione di Dario Franceschini, non ha dato fin qui risposte convincenti sul perché degli incontri fuori protocollo fra William Barr, già Attorney General degli Stati Uniti, e l’ex capo del Dis Gennaro Vecchione, proprio mentre era presidente del Consiglio.

Matteo Renzi, leader di Italia viva, già premier, sostiene che Conte nelle sue precedenti ricostruzioni è stato parziale: “Ci sono dei buchi neri nella ricostruzione di Giuseppe Conte sulla strana vicenda dell’agosto-settembre 2019, quando gli esponenti dell’amministrazione” Usa “vennero in Italia alla ricerca di un presunto complotto da me ordito contro il presidente Trump”, ha detto Renzi nella sua eNews. “Considero una follia questa ipotesi e ancora più folle mi pare chi gli ha dato credito. Ho chiesto chiarezza all’intelligence italiana. E non lo faccio per me, ma per il decoro delle istituzioni italiane”.

Resta un problema serio per il Pd: che fare dell’alleato ingombrante? Per i dem, che si trovano di fronte a un bivio, sembra arrivata l’ora della verità. Stare con i populisti o costruire un’alternativa riformista alternativa ai richiami della foresta provenzaniani (in luogo di Peppe Provenzano, vicesegretario del Pd)? La risposta non è scontata, perché Enrico Letta ha dato prova di solidità sull’Ucraina, accollandosi anche il rischio di perdere qualche voto, ma non è detto che alla lunga tutti possano continuare a pensarla o a far finta di pensarla come lui. Il rapporto con i 5 stelle dunque è diventato una cartina di tornasole, così come nell’altro campo lo sta diventando il rapporto con la Lega nel centrodestra. Ma in politica esiste sempre il momento del disvelamento. (Public Policy)

@davidallegranti