di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – A volte ci sono piccoli incidenti normativi che illuminano grandi contraddizioni politiche e rivelano che l’inclinazione alla “doppia verità” continua a essere il peccato originale delle esperienze di governo nazionali. In questo caso, la questione riguarda il Governo Meloni, ma si potrebbero fare esempi uguali e contrari anche a carico di governi di segno opposto. Come è noto, i beniamini della destra italiana sono diventati Javier Milei e Elon Musk per il radicalismo con cui propugnano il verbo super-liberista e l’improntitudine con cui sfidano le élite progressiste raccolte a difesa del ruolo dello Stato e della regolazione e della spesa pubblica.
Del primo in particolare, possiamo oggi vedere non solo i programmi, ma le realizzazioni, che sono decisamente coerenti con i propositi dichiarati. Prescindendo dalla valutazione, oltremodo complessa, su quale sia il vero rapporto costi-benefici della sua politica finanziaria e monetaria ultra-restrittiva, è invece abbastanza pacifico che la sua campagna di liberalizzazione e deregolamentazione dell’attività di impresa ha avuto benefici effetti per il rilancio dell’economia argentina. Una delle misure simbolo di questo programma è stata la totale deregolamentazione del servizio taxi.
In Argentina, chiunque abbia un’automobile e una patente può fare il taxista, senza bisogno di alcuna licenza. Il Governo italiano degli estimatori di Milei, lo scorso anno, pure a fronte di disservizi clamorosi, ha neutralizzato l’ancorché parziale liberalizzazione del settore, limitandosi a consentire un aumento del 20% delle licenze nei soli comuni capoluogo di regione, nelle città metropolitane e in quelle sede di aeroporti internazionali (con retrocessione dell’80% degli introiti delle nuove licenze ai vecchi licenziatari) e ad alcune misure spot (licenze temporanee e doppia guida) a beneficio di chi al momento della riforma già aveva una licenza. In seguito, cioè quest’anno, ha provveduto ad azzoppare i concorrenti dei tassisti, cioè i cosiddetti NCC (Noleggio con conducente), in una forma peraltro surrettizia e giuridicamente a serio rischio di illegittimità.
La vicenda è tanto surreale quanto purtroppo emblematica. Una disposizione contenuta all’articolo 11, comma 4 della legge 21/92 prevede che gli esercenti del servizio di noleggio con conducente debbano compilare per ogni corsa un “foglio di servizio in formato elettronico”. Un decreto interministeriale dei titolari dei Trasporti e dell’Interno avrebbe dovuto precisare esclusivamente le modalità e le specifiche tecniche di compilazione di questo “foglio elettronico”, con esclusivo riferimento ai seguenti dati: “a) targa del veicolo; b) nome del conducente; c) data, luogo e chilometri di partenza e arrivo; d) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; e) dati del fruitore del servizio”.
Nella versione licenziata da Salvini e Piantedosi questo decreto è diventato un coacervo di restrizioni e vincoli all’esercizio del servizio in violazione del principio di legalità, visto che non può essere un decreto ministeriale coi suoi allegati tecnici a modificare il contenuto normativo di un complesso di disposizioni legislative. Il risultato di questa operazione è che si è introdotto l’obbligo di una pausa di 20 minuti tra una corsa e l’altra, se la partenza dei veicoli non è dalla rimessa, e si sono riversate sulle imprese NCC oneri organizzativi e economici pesantissimi per la raccolta, trasmissione e conservazione dei dati dei clienti, da cui i tassisti sono invece esentati. Le discriminazioni normative contro gli storici concorrenti dei taxi ormai non si contano e alcune di queste sono state cancellate da pronunce della Corte costituzionale: la sentenza 56/2020 dichiarò l’incostituzionalità della norma che imponeva ai veicoli di rientrare in rimessa dopo ogni prestazione, e la 137/2024 cancellò il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di noleggio con conducente sino alla piena operatività del registro informatico nazionale.
In questo caso, c’è da aspettarsi che le barriere anticoncorrenziali abusivamente inscatolate in un provvedimento amministrativo cadano anche prima, di fronte al Tribunale amministrativo del Lazio cui si sono rivolte le organizzazioni dei noleggiatori. Difficilmente, ove ciò succedesse, cadrà insieme al decreto la tentazione, anzi l’abitudine di coniugare il liberismo di facciata con il protezionismo di governo e la prosopopea sulla competizione tra uguali con la retorica dei diritti acquisiti dai più uguali degli altri. In ogni caso, questo decreto certamente finirebbe inesorabilmente tagliato dalla famosa motosega di Milei, che il capo della Lega incensa, ma si guarda bene dal seguire anche negli aspetti più pacifici e meno controversi della sua politica. (Public Policy)
@CarmeloPalma





