Si avvicinano le urne: che fine farà il draghismo?

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Sta per arrivare il momento del disvelamento. In politica arriva sempre, prima o poi. Specie quando si avvicinano le urne. L’anno pre elettorale sta già regalando succose anticipazioni sugli eventi futuri, ma i veri acceleratori della rottura del velo di Maya sono l’emergenza sanitaria e la guerra, perché facilitano ulteriormente la polarizzazione su temi sui quali non ci possono essere ambiguità. Mario Draghi, al contempo disarticolatore di coalizione e stabilizzatore del sistema istituzionale, è alla fine di un percorso. Non è chiaro ancora come intenderà proseguire, e se intenderà proseguire, ma senz’altro le sue politiche verrano ereditate da formazioni vecchie o nuove.

Il punto insomma non è tanto Draghi, insomma, quanto il draghismo. Gli aspiranti eredi non sono pochi, questo fine settimana c’è stata pure la convention di Mara Carfagna a Sorrento. La ministra per il Sud e la coesione territoriale da tempo sembra voler sviluppare una leadership autonoma, il problema è che dentro Forza Italia non ci si può permettere di far adontare Silvio Berlusconi. Rispetto al centrosinistra, dove a suo tempo emerse Matteo Renzi, quello che è sempre mancato è il parricidio politico. Certi compiti dunque sono molto complessi, dalle parti del centrodestra, dove le ambiguità non mancano. Sulla guerra, per esempio. Basti vedere le posizioni di Matteo Salvini, che si è lanciato in insolite posizioni da pacifista assoluto.

Nel centrosinistra, in teoria, è tutto più semplice, almeno apparentemente. Come fa Enrico Letta, che ha cercato di mettere ordine nel Pd dopo anni di sbandate grilline, a restare alleato del M5s, il cui fondatore, Beppe Grillo, pubblica post filo-autarchici sul suo blog e il cui leader politico, Giuseppe Conte, attacca quotidianamente Draghi? Forse è tempo di alleanze slegate dall’opportunismo.

Le cartine di tornasole – chiamarle programma è un po’ troppo – non mancano. Dal posizionamento internazionale all’inceneritore di Roma, alla riforma della giustizia. Certo, qualcuno forse pensa di degrillizzare e decontizzare il M5s, incorporandolo nel Pd. Magari con l’aiuto dello stesso Luigi Di Maio, che oggi cerca di ricoprire posizioni saldamente atlantiste. Il M5s continua ad avere un core business elettorale preciso: quello della rabbia settaria, complottista, giustizialista. Quello che ha portato in Parlamento no vax e forcaioli. Quella rabbia ha ancora un mercato e un elettorato. Interrogarsi sulla sua riformabilità potrebbe essere uno sterile esercizio teorico. Alla fine si potrebbe scoprire che i barbari non posso essere romanizzati. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)