Lo Spillo
di Enrico Cisnetto

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ROMA (Public Policy) – Usare la tecnologia per combattere il contrabbando di sigarette è un’idea lodevole. Attenzione però che, nella realizzazione pratica, potrebbe crearsi una pericolosa commistione tra controllore e controllato, a danno delle casse dello Stato, della concorrenza, e dunque dei cittadini.

Il governo ha infatti approvato in prima lettura un nuovo decreto legislativo sui tabacchi, che segue una direttiva Ue del 2014, tra l’altro già recepita nell’ordinamento italiano. L’articolo 16 del decreto allo studio di Palazzo Chigi, come documentato da Public Policy, impone di dotare ogni pacchetto di sigarette di un talloncino irremovibile che, tramite lettura elettronica, identifica in modo univoco il prodotto e ne conserva tutta la storia, dal produttore al consumatore: contenuto, metodo e macchinari di lavorazione, itinerari previsti ed effettivi, turni di lavoro, fino alle fatture e a tutti i pagamenti.

Se consideriamo che i prodotti da fumo in Italia valgono 18,4 miliardi, di cui 13,7 di entrate fiscali, è ovvio che la tracciabilità è fondamentale. Soprattutto perché Dogane e Guardia di finanza stimano l’illecito in 2,8 miliardi di sigarette, pari a 485 milioni di mancati incassi fiscali ogni anno (Nomisma).

Stando a queste stime le sigarette che non pagano le tasse in Italia sarebbero il 3,4% del totale, ma il sommerso (e impunito) deve essere quattro volte più grande, perché anche senza la “storica” tradizione del contrabbando, sembra difficile che l’Italia si attesti distante dal 14% della Francia e dal 12% della Germania.

È possibile che il Paese con un sommerso smisurato e uno dei più alti livelli di evasione fiscale, sia 3-4 volte più virtuoso degli altri proprio sulle sigarette? In realtà, rimesso in media con i Paesi europei, il dato italiano sui mancati introiti fiscali passerebbe da 485 milioni a 2 miliardi di euro. Soldi che, appunto, possono e debbono essere recuperati al fisco.

Allora, avanti spediti con il sistema di tracciabilità? Sì, ma attenzione, perché il soggetto deputato a controllare il commercio non deve essere in rapporto con i produttori. La grande industria del tabacco (con rappresentanti di Japan Tobacco Italia e Philip Morris che hanno fatto la spola tra Montecitorio e Palazzo Madama) ha cercato di intervenire pesantemente più volte nei precedenti processi legislativi.

Anche perché, mentre le sigarette contraffatte sono un danno per le multinazionali del tabacco – ma la Guardia di finanza dice che sono solo il 15% del sequestrato – quelle “originali” su cui è stato omesso di pagare le tasse sono invece un problema solo per l’Erario.

Allora, è sperabile che il provvedimento vada avanti, ma senza il fumo negli occhi delle grandi multinazionali del tabacco. Come? Basta recepire la direttiva Ue, che a sua volta ne recepisce una molta netta dell’Oms: nessuna commistione, neppure indiretta. A buon intenditor… (Public Policy)

@ecisnetto